Perché si conta il doppio degli infortuni sul lavoro in un mese?
Ok il lockdown, le chiusure, il sistema dei colori. Ma il doppio degli infortuni in un solo mese è pur sempre il doppio. E non si può spiegare solo con le restrizioni dovute alla pandemia. Ne sono convinti due esperti in materia. Il segretario della Cisl con delega agli infortuni sul lavoro Paolo Reboni e Antonella Albanese della segreteria Cgil che si occupa dello stesso tema. Per entrambi a pesare è la necessità di recuperare il terreno perduto a causa dell’emergenza sanitaria.
Ma non solo. «Incide - ci ha detto il primo - anche l’incapacità della domanda di manodopera di incontrare l’offerta. Aumentano le commesse, ma spesso le aziende non trovano gli operatori qualificati per farvi fronte. Così si affidano a manodopera subappaltata, interinale, non particolarmente qualificata e preparata, decisamente più esposta al rischio di infortunarsi. Cosa che capita sempre più di frequente».
Significativo, secondo Albanese, che a fronte di un incremento complessivo degli infortuni, non sia corrisposta una crescita proporzionata di quelli in itinere. «Sono avvenuti nella stragrande maggioranza in ambito strettamente lavorativo e questo perché i ritmi - ci ha detto - si sono fatti decisamente più frenetici. Quello che più colpisce è che da 30 anni a questa parte la casistica non è cambiata. Gli infortuni si verificano sempre nello stesso modo, nonostante l’opera di formazione, di prevenzione e nonostante le leggi. È un problema di cultura. Dei datori di lavoro e dei lavoratori».
È un tema sul quale occorre confrontarsi per Paolo Reboni. «Serve dialogo tra le parti - dice il segretario Cisl - occorre investire in questo. Chi ritiene sia tempo buttato si sbaglia. Servono più medici del lavoro, servono più controlli. Occorre lavorare sulla cultura della sicurezza, renderla accessibile anche a chi viene da lontano, parla altre lingue e ha altre abitudini. Quello in sicurezza è un investimento che ripaga; tre morti sul lavoro al giorno non si possono tollerare».
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