Perché l'aumento dei contagi attuale è diverso da quello del 2020
Si è iniziato a parlare in modo generico di «quarta ondata», con i contagi in aumento in tutta Italia e le ultime restrizioni introdotte da alcuni Paesi europei. L’attuale situazione epidemiologica, però, è diversa da quelle passate per almeno due motivi: ci sono i vaccini, che un anno fa non erano ancora nemmeno arrivati in Italia, e ci si muove molto di più, visto che la gran parte del Paese è in zona bianca dal 21 giugno, con l’eccezione della Valle d’Aosta e della Sicilia, che sono state in zona gialla per altre settimane.
Il governo italiano sta valutando nuove misure per impedire che l’andamento peggiori e sopratutto per evitare un sovraccarico degli ospedali, che è uno degli indicatori per decretare il passaggio da una zona all’altra (la zona gialla scatta con un'incidenza di nuovi positivi su 100mila abitanti superiore a 50, un'occupazione di letti del 10% per le terapie intensive e del 15% per le aree mediche). Secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto superiore di sanità, l’incidenza settimanale in Italia in questo momento è pari a 98 casi su 100mila abitanti, in crescita rispetto al periodo tra il 5 ottobre e l’11 novembre (78 casi su 100mila abitanti). Non è facile riuscire a capire come si svilupperà questa fase della pandemia, ma anche solo osservando i dati della provincia di Brescia e della Lombardia si possono già notare differenze sostanziali rispetto a un anno fa, quando la situazione era molto più grave.
Prendendo in considerazione per esempio soltanto i contagi dell’ultimo mese e confrontandoli con quelli dello stesso periodo del 2020 si vede subito che c’è una grande distanza, sia per numeri assoluti sia per andamento complessivo. Un anno fa si raggiungevano picchi di 710 casi al giorno (7 novembre) e la Lombardia entrava nella zona rossa appena istituita (6 novembre), il cosiddetto lockdown soft. Negli stessi giorni del 2021 i contagi sono stati 90, saliti negli ultimi giorni fino a 224 (17 novembre).
Se guardassimo però solo ai contagi le preoccupazioni sarebbero simili a quelle di un anno fa, perché i casi giornalieri stanno effettivamente aumentando, anche se con numeri molto più bassi, a Brescia e in tutta Italia. La grande differenza però oggi la stanno facendo i vaccini, che contengono i ricoveri e i decessi. Pochi giorni fa molti giornali hanno scritto di uno studio pubblicato il 15 novembre a cui hanno partecipato anche l’Istituto superiore di sanità, il ministero della Salute e la Fondazione Bruno Kessler e che mostra cosa sarebbe potuto succedere quest’autunno se non fosse partita la campagna vaccinale. Secondo l’analisi, tra il 27 dicembre 2020, giorno in cui è iniziata la campagna vaccinale in Italia, e il 30 giugno del 2021, il vaccino avrebbe evitato 12.100 morti. Non solo, ma per chi firma lo studio il vaccino si è dimostrato efficace anche nel contenere la variante Delta a luglio, molto più contagiosa delle altre varianti del virus, che quest’estate ha fatto scattare l’allarme in diversi Stati del mondo.
Anche l'andamento dei contagi giornalieri nel tempo in provincia di Brescia conferma per ora l’impatto positivo del vaccino: dal 4 aprile 2021, giorno in cui è partita la campagna vaccinale massiva degli under 80, non ci sono più stati picchi, mentre dalla terza settimana di ottobre del 2020 si erano già superati i contagi attuali.
iv>L’efficacia dei vaccini però si misura specialmente sull’andamento dei ricoveri in terapia intensiva, uno degli indicatori chiave per capire la gravità della situazione e decidere il cambio di zona. Anche se è un dato da prendere con cautela, finora è evidente quanto sia inferiore rispetto all’autunno 2020 (nel grafico prendiamo a confronto un periodo di cinque mesi dell’anno scorso, dal 1° agosto al 1° gennaio, per mostrare la differenza in valori assoluti da agosto 2021 a oggi e la diversa tendenza della curva nei prossimi mesi).
Al momento le terapie intensive in Lombardia sono occupate al 3,73% e i reparti ordinari al 9,78% (dato aggiornato al 19 novembre). Le regioni più in difficoltà in questo senso sono il Friuli Venezia Giulia, le Marche e la provincia autonoma di Bolzano.
Secondo lo studio dell’Istituto superiore di sanità, del ministero della Salute e della Fondazione Bruno Kessler, la strategia per tornare alla vita pre-pandemia consiste nel vaccinare il 90% della popolazione (compresi i bimbi dai 5 anni in poi) con vaccini a mRNA. In questo momento ha completato il ciclo vaccinale primario (prima e seconda dose) il 77,02% della popolazione italiana. La percentuale sale all’84.5% se si considerano solo gli over 12, per ora i destinatari della campagna vaccinale, ma non è da escludere che l’età per la somministrazione venga abbassata (è già in corso una valutazione per la fascia 5-11 anni).
Fare previsioni su cosa succederà nelle prossime settimane è molto difficile. Di sicuro andrà tenuto monitorato il dato delle terapie intensive, ma sarà da capire esattamente anche quanto incide il calo della protezione una volta trascorso un certo tempo dall’iniezione e come impatteranno le terze dosi, sulle quali il governo e le Regioni stanno puntando molto, a seconda di quante persone aderiranno.
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