Per la giustizia è irreperibile, ma «vive» sui social
Attivo in internet, ma irreperibile per chi lo deve giudicare in un’aula di tribunale. È il paradosso della giustizia italiana al tempo dei social. Nessuno sa dove stia Cesar Alberto Ortega, nato a Caracas il 4 novembre del 1986 e accusato di violenza sessuale di gruppo.
È uno dei coimputati del maestro di karate ed ex proprietario di una palestra a Lonato del Garda Carmelo Cipriano, condannato in via definitiva a nove anni di carcere per aver abusato di alcune sue allieve ragazzine.
Tra cui Giada Fusaro, oggi 23 anni, che ne aveva però 15 quando fu costretta ad un rapporto sessuale a tre da Cipriano e da Ortega appunto. «Abusando delle condizioni di inferiorità fisica e psichica dovuta alla minore età della vittima». Così dicono le carte di un processo che per il venezuelano non è mai iniziato. Per la giustizia bresciana è un fantasma.
A Sirmione, dove risulta residente, non si trova e il suo avvocato d’ufficio non lo ha nemmeno mai incontrato. Tracce di lui se ne trovano però abbondantemente in rete, tra i suoi profili di Instagram e Facebook.
Il 33enne sostiene di trovarsi a Panama, pubblica video e fotografie e non manca di commentare pensieri di altri utenti. Con tanti saluti a magistrati, avvocati e vittime. Tra reale e virtuale. «Uno può scrivere di essere in qualsiasi parte del mondo» ha detto in occasione dell’ultima udienza il giudice che ha rinviato il processo a maggio 2020. Un anno esatto, così come vuole la legge per i casi di imputati irreperibili.
«La tesi del giudice non è sbagliata, ma sono convinto che oggi ci siano gli strumenti per verificare attraverso l’indirizzo IP da dove un utente sta utilizzando internet» è il pensiero dell’avvocato Riccardo Caramello, legale di Giada Fusaro, unica parte civile nel processo.
«Così dobbiamo aspettare altri dodici mesi con il rischio di ritrovarci allo stesso punto a maggio prossimo e la mia assistita - dice l’avvocato - è costretta a tener in primo piano nella sua vita una vicenda che vorrebbe accantonare e vedere in rete che chi l’ha violentata fa e dice quello che vuole non è certo piacevole».
Non è la prima volta che si trovi in rete chi risulta irreperibile per la magistratura. Fino a qualche tempo fa in Tunisia Chaambi Mootaz usava Facebook per chiedere ad amici a Brescia come stessero i suoi figli, abbandonati dopo aver ucciso a coltellate la moglie Daniela Bani. Latitante nella vita, sempre presente in rete. Proprio attraverso internet le autorità tunisine sono però riuscite ad arrestarlo per fargli scontare i 30 anni di carcere. Dal virtuale al reale il passo è possibile. Volendo.
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