Per Canton Mombello è stato un altro anno da dimenticare

I detenuti hanno parlato di celle più chiuse e meno telefonate davanti a una commissione comunale
La chiusura delle porte delle celle alla sera © www.giornaledibrescia.it
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«Tutti i detenuti vengono formati per le mansioni più richieste dal mercato del lavoro», «qui ci sentiamo sicuri e condividiamo con tutti le risorse che abbiamo a disposizione», «sto facendo un percorso in un ambiente che mi rende fiducioso e disponibile».

Le voci dei detenuti di Canton Mombello – che disegnano uno scenario distopico e ideale, il carcere desiderato da chi tra quelle mura e quelle sbarre ci trascorre pezzi di esistenza – sono rotte ma dignitose. Fatte di sofferenza e di solitudine ma anche di consapevolezza che i propri diritti contano, che contano essi stessi, che la pena deve essere scontata ma in un’ottica riabilitativa.

Davanti a una platea d’eccezione (composta dai consiglieri della commissione Servizi alla persona della Loggia e dalla sindaca Laura Castelletti, da operatori e mediatori), nel teatro della casa circondariale di Brescia i detenuti hanno voluto rivendicare i propri diritti, che sono poi quelli universali, immaginando un carcere diverso da quello di Canton Mombello, ma diverso da qualunque carcere italiano. Nel quale le persone recluse possano lavorare e occupare il proprio tempo, essere assistite anche psicologicamente e mantenere quel legame fondamentale con la società e la comunità di riferimento.

L’occasione è stata la celebrazione della Giornata internazionale dei diritti dell’uomo, nella quale la garante dei detenuti Luisa Ravagnani ha presentato il bilancio dell’anno tra qualche luce e tante ombre: «In un anno sono cambiate tante cose - spiega Ravagnani sintetizzando la propria relazione, dedicata alle due vittime di morte naturale a Canton Mombello nel 2023 -. Siamo tornati al vecchio regime delle telefonate, molto più svantaggioso rispetto a quello attivato durante l’emergenza Coronavirus, e al regime di celle chiuse per la media sicurezza, con la possibilità di essere aperte otto ore al giorno».

Cambiamenti peggiorativi (se si considera che buona parte della giornata viene gestita in celle chiuse, sovraffollate e strutturalmente inidonee), «che sono stati comunque vissuti in maniera dignitosa e costruttiva da parte dei detenuti, i quali stanno tentando di utilizzare il tempo al meglio».

E lo dimostra il progetto sui diritti umani che ieri si è trasformato in uno spettacolo di musica e parole. «Hanno lavorato a lungo in queste settimane, riflettendo su cosa vuol dire pensare ai diritti umani qua dentro e cercando di capire cosa si può fare da qui».

L'incontro all'interno del carcere © www.giornaledibrescia.it
L'incontro all'interno del carcere © www.giornaledibrescia.it

La soluzione

Il progetto assume ancor più valore proprio perché nasce e si sviluppa entro le vecchie e anguste mura del «Nerio Fischione», una delle case circondariali peggiori d’Italia.

«Il sovraffollamento della popolazione penitenziaria in questo istituto strutturalmente inadeguato incide sulla vita dei ristretti, su chi ci lavora e su tutti coloro sono costretti ad interagirvi - continua Ravagnani -. Qui, come altrove in Italia, non si vuole prendere in considerazione il fatto che non si possa gestire questi numeri. Oggi in Italia abbiamo superato quota 60mila detenuti, non c’è altro da aggiungere».

La speranza passa tutta dal maxi-progetto del nuovo penitenziario bresciano, atteso da tempo. Dal teatro di Canton Mombello la promessa di un nuovo passo viene ribadita dalla sindaca Castelletti: molto presto tutte le istituzioni civili, giudiziarie e sociali interessate si siederanno intorno a un tavolo per sviluppare il progetto.

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