Pcb al Calvesi, l'atletica cerca una nuova casa
Il sole di primavera, le foglie che si affacciano sugli alberi e gli uccellini che cantano. Il pcb, in uno scenario così, mica te lo ricordi. Anche se sudi tra le ripetute, salti o fai stretching al campo Calvesi, a pochi metri dalla Caffaro minacciosa. In questi giorni, però, è più difficile fare finta di niente. Potenza della Rai e della riapertura del dibattito su inquinamento e bonifiche mancate. Potenza della paura racchiusa in una parola: contaminazione.
Così, l'11 aprile la Fidal bresciana ha sospeso le competizioni previste in primavera e in estate. Quanto abbiano pesato sulla decisione il servizio di Presadiretta e le ripercussioni sul pubblico fuori provincia è presto detto: soltanto il 2 aprile, il giorno successivo alla messa in onda, la federazione atletica leggera aveva chiesto l'autorizzazione alla San Filippo spa, proprietaria dell'impianto, a programmare le gare che sarebbero dovute partire già sabato 13. Pochi giorni dopo il cambio di rotta, atleti e società erano troppo preoccupati. «Al Calvesi non ci veniamo più».
Nella vicenda non manca un paradosso. Niente competizioni, d'accordo, ma gli allenamenti vanno avanti comunque. La pista, le parti coperte dal cemento, le aree del campo riempite con terra da riporto: tutte autorizzate e calpestabili. Chi si allena conosce le zone rosse e le evita, ma fino a quando? E le zone accessibili sono davvero sicure? Le scuole hanno abbandonato l'impianto da tempo. Il problema investe l'Atletica Brescia 1950, alle prese con le preoccupazioni dei circa trecento tesserati. A partire da bambini e ragazzi: su ottanta iscritti ai corsi di avviamento allo sport (organizzati col supporto del Comune, anche se di soldi non ne arrivano) in venti hanno smesso di punto in bianco di presentarsi al parco. Scelta dei genitori, che in alcuni casi hanno anche accusato la società sportiva di aver messo in pericolo la vita dei loro figli. A questo punto, il presidente eletto in gennaio, Claudio Marchese, sembra deciso ad interrompere i corsi dalla prossima stagione. Restano le altre attività, quelle che hanno portato l'Atletica Brescia ad entrare tra le prime realtà nazionali in campo femminile, oltre a dare soddisfazioni in terreno maschile. Un patrimonio cittadino, insomma, a rischio.
«Non possiamo e non vogliamo fermarci - dice Marchese -, ma dobbiamo porci il problema. Sento una responsabilità personale nei confronti degli atleti, soprattutto verso i minorenni». In tutti questi anni allenamenti e gare sono andati avanti cercando di rispettare le prescrizioni dell'ordinanza comunale sulle parti contaminate. Il Calvesi è la casa dell'Atletica Brescia, restare lì ha un valore più affettivo che razionale. Ora, però, la società guarda altrove. Spendere 2.300 euro all'anno per affittare una struttura accessibile parzialmente e da bonificare non è una buona idea. Il problema è trovare un'alternativa. L'impianto gestito dal Cus in via Scuole potrebbe anche andare, ma ha bisogno di una sistemata. La pista è cotta e sembra un campo di patate, la Provincia non interviene da anni. «Ci sono belle strutture a Castenedolo, Rezzato, Nave, tra i più vicini. Oppure Rodengo, Chiari, Montichiari, Gavardo, spostandosi un po' - prosegue Marchese -. I comuni della provincia hanno ragionato in modo diverso rispetto alla città. I nostri atleti sono già abituati ad andare fuori ad allenarsi, ad esempio in inverno a Bergamo, dove ci sono impianti migliori. A noi farebbe piacere rimanere al Calvesi, però...». Però così non si può più.
Emanuele Galesi
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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