Patera, chiude l’ultimo re del bianco e nero

Dopo 43 anni Patera, unico a stampare senza il colore. «Il digitale? Non è fotografia»
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Si arrende l’ultimo alfiere del bianco e nero. «La fotografia è finita», dice. «E io le ho dato tutto». Ma non è bastato: come tanti, è convinto che il digitale ne abbia ucciso l’arte.

Giancarlo Patera abbassa la serranda dopo 43 anni di servizio, nello stesso laboratorio di via Zara, da sempre. È uno che non ama i cambiamenti, se si tratta di fotografia: tanto da essere rimasto l’unico, in città, a stampare l’analogico in bianco e nero. Tutto a mano. «Se vuoi scattare una foto "alla vecchia maniera" devi pensare, ragionare su quello che stai facendo. Non hai possibilità infinite. Devi essere bravo». Del digitale, quindi, neanche a parlarne. «Quella non è fotografia. È un’altra cosa. È ricerca di una bellezza effimera, senza profondità».

Il «pensiero» è la chiave per leggere le fotografie «di una volta, dei grandi - spiega - ed è quello che manca ora ai fotografi. Oggi tutto si cancella, non c’è fantasia, la creatività è piatta, ogni cosa è vista e rivista». Stampatore ma anche fotografo, ha sperimentato tutti i generi, dagli still life ai ritratti, dal reportage alla fotografia scientifica. E nel suo laboratorio sono transitati migliaia di rullini.

Ci sono passati anche alcuni dei pochi scatti del 28 maggio 1974, di una piazza Loggia vista da Silvano Cinelli, racconta Patera. «Uno dei grandi, insieme a Giuseppe Vigasio, il mio primo maestro». Dopo di lui, a poco più di vent’anni, «Danilo Allegri, che aveva lo studio in via San Faustino. Ma anche Oreste Alabiso, "Popi" Orioli». I primi passi nel regno della fotografia? «Iniziati con 25 chili di formaggio Milkana, che mi ha procurato una colite ma grazie al quale ho "vinto" anche la mia prima macchina fotografica, una Ferrania di plastica».

Patera chiude, ma senza rabbia: «I tempi sono cambiati e non ha più senso insegnare perché si è perso il "saper pensare" alla fotografia. Oggi sono tutti artisti». E ora? «Per un po’ voglio dedicarmi ad altro. Al mio violino, all’alpinismo. Ma basta con la fotografia».

Suona il campanello. «Sono venuti a prendere uno dei miei macchinari, glielo regalo». Sono tre giovani fotografi: Andrea, Alberto e Giorgio. E, precisano, il digitale lo usano eccome: «È il nostro mestiere. Ma scegliamo l’analogico per i lavori personali". Apriranno presto uno studio in via Fratelli Bandiera: lì andrà il testimone che Patera passa ai tre. 

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