Pasticceria Tacconi, 50 anni di dolci a Brescia

Sono trascorsi 46 anni. Quasi mezzo secolo di dolcezza diviso tra due importanti vie della nostra città. Dapprima all'angolo tra via Solferino e via Romanino e da oltre venticinque anni solo in via Romanino.
Da allora, la grande strada che porta alla stazione ha subito profonde trasformazioni. Molte botteghe hanno chiuso i battenti, molti palazzi hanno cambiato aspetto, molti nuovi volti, giunti da lontano, hanno riempito spazi lasciati vuoti. Ma Gianfranco Tacconi, l'artigiano di via Romanino ha mantenuto le posizioni, testimone di una tradizione di «brescianità» che è riuscito a tramandare attraverso la sua famiglia ed i profumati prodotti delle vecchie ricette del territorio.
Quella di pasticciere è una professione che ha visto molti cambiamenti negli anni: le nuove tecnologie hanno di certo facilitato il lavoro. «Ma ci sono alcune ricette, come la persicata, che devono essere lavorate a mano» spiega il figlio Massimo che nell'81, appena ventenne, ha affiancato il padre nel lavoro e negli anni ha mantenuto la tradizione di famiglia.
«Speriamo che il nostro quartiere torni a vivere, come quando ero bambino e giocavo nella piccola pasticceria d'angolo» racconta Massimo. Allora, nella «bottega» lavorava il papà Gianfranco, ma anche la mamma Assunta che aveva accantonato il lavoro di sarta per aiutare il marito.
Ancora oggi, anche se con i ritmi rallentati dall'anagrafe, a volte incontriamo Gianfranco, persona positiva e di rara cortesia. Con lui parliamo anche di malattie, come quella che lo ha colpito ai reni e che, nel 1998, lo ha costretto a fare la dialisi e a metterlo in lista d'attesa per il trapianto. Che è stato possibile nel 2002, all'Ospedale Civile della nostra città. Un'esperienza forte, di dolore e di speranza. Superata con il sorriso e l'ottimismo dell'antica saggezza.
Era il 18 gennaio 1948 quando Gianfranco Tacconi, appena tredicenne e con i calzoni corti della sua giovane età, entrò per la prima volta come garzone da «Almici», altro pasticciere bresciano riferimento di intere generazioni.
Erano gli anni del Dopoguerra e tutto era in fermento. C'era voglia di riscatto, di crescita, di successo. Da raggiungere, tuttavia, attraverso il lavoro, anche quello duro che prevedeva - e prevede tuttora, per alcune categorie come i pasticcieri - una levataccia alle quattro o cinque del mattino, domenica compresa. Gianfranco Tacconi varcò la soglia del laboratorio di «Almici» e vi rimase per diciannove anni. Fino a quando, insieme alla moglie Assunta, decise di mettersi in proprio. Prima, solo come pasticciere all'angolo di via Romanino e via Solferino. Poi, pochi metri più distante - nella sede attuale - con l'aggiunta della caffetteria.
Ed è lì, tra i profumi degli aromi dei suoi prodotti, che ha insegnato al figlio Massimo il rispetto della tradizione pasticciera. «Da mio padre ho imparato le ricette del territorio, che continuiamo a proporre facendo sintesi di innovazione e di ingredienti di qualità» spiega Massimo, dietro il banco insieme alla moglie Carla. Ecco, dunque, che dal montacarichi che sale dal laboratorio, escono bossolà, persicata, dolce Romanino, pane speziato, pane dei morti, biscotto bresciano.
«Per noi - sottolinea Massimo - è importante dare un segnale a chi arriva dalla stazione, magari forestiero ma non solo, al quale offriamo la possibilità di conoscere e assaggiare i dolci tipici, ma anche la cioccolata che assume forme particolari, quasi delle opere d'arte».
Anna Della Moretta
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