Parlamentare-sindaco, carica incompatibile

Niente più doppio incarico per i parlamentari-sindaci. Lo ha deciso la Corte Costituzionale. Una sentenza che riguarda anche Brescia.
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Niente più doppio incarico per i parlamentari-sindaci. La Corte Costituzionale, decidendo sul caso Stancanelli, senatore del Pdl e sindaco di Catania, ha bocciato la legge n.60 del 1953 nella parte in cui non prevede l’incomapatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di un comune con più di 20mila abitanti. Una sentenza che riguarda anche Brescia e la posizione dell'attuale sindaco Adriano Paroli, deputato del Pdl.

IL FATTO A sollevare la questione dinanzi alla Consulta è stato il Tribunale civile di Catania, al quale un elettore, Salvatore Battaglia, aveva fatto ricorso. Candidatosi a sindaco di Catania nel giugno del 2008, quindi dopo essere stato eletto due mesi prima senatore del Pdl, Raffaele Stancanelli aveva mantenuto il doppio incarico.

La decisione della Consulta - la n.277 - ha tuttavia valore per tutti quei parlamentari divenuti sindaci di grandi città e che dovranno dunque scegliere quale dei dunque incarichi mantenere.

"Adesso il parlamentare amministratore avrà dieci giorni di tempo per optare per uno dei due incarichi, altrimenti decadra probabilmente da quello più recente". Questo il commento di Antonio Saitta, ordinario di diritto costituzionale all’Università di Messina commentando la sentenza della Consulta.

LA CONSULTA DECIDE  La Consulta è così di fatto intervenuta in maniera additiva, colmando un vuoto legislativo che causava -  si legge nella sentenza scritta dal giudice Paolo Grossi - "la lesione non soltanto del canone di uguaglianza e ragionevolezza ma anche della stessa libertà di elettorato attivo e passivo".

La legge statale, infatti, prevede espressamente che non sono eleggibili alla carica di parlamentare nazionale i presidenti delle Province ed i sindaci dei Comuni con più di 20mila abitanti, ma nulla dice riguardo all’ipotesi inversa, vale a dire sull’ineleggibilità a sindaco di chi è già parlamentare. "Si tratta dunque - scrive la Corte - di verificare la coerenza di un sistema in cui, alla non sindacabile scelta operata dal legislatore (che evidentemente produce in sè una indubbia incidenza sul libero esercizio del diritto di
elettorato passivo) di escludere l’eleggibilità alla Camera e al Senato di chi contemporaneamente rivesta la carica di sindaco di grande Comune, non si accompagni la previsione di una causa di incompatibilità per il caso in cui la stessa carica sopravvenga rispetto alla elezione a membro del Parlamento nazionale".

I giudici costituzionali, alla luce di precedenti sentenze costituzionali, ritengono necessario che "il menzionato parallelismo sia assicurato, allorquando il cumulo
tra gli uffici elettivi sia, comunque, ritenuto suscettibile di compromettere il libero ed efficiente espletamento della carica", così come previsto dagli articoli 3 (principio di
uguaglianza e ragionevolezza) e 51 (libertà di elettorato attivo e passivo) della Costituzione.

Secondo la Consulta, dunque, la "previsione della non compatibilità di un ’munus’
pubblico rispetto ad un altro preesistente, cui non si accompagni, nell’uno e nell’altro, una disciplina reciprocamente speculare, si pone in violazione della naturale corrispondenza biunivoca delle cause di ineleggibilità, che vengono ad incidere necessariamente su entrambe le cariche coinvolte dalla relativa previsione, anche a prescindere dal dato temporale dell'elezione».

La pronuncia di illegitimità riguarda, per la previsione, gli articolo dall’1 al 4 della legge n.60 del 1953 "nella parte in cui non prevedono - si legge le dispositivo - l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20mila abitanti".

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