Paola, attrice per 20 anni poi il colpo di fulmine per i tessuti

I capelli neri, il trucco orientale e il sari che spesso indossa fanno sì che tutti la scambino per una donna indiana. Invece...
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I capelli neri, il trucco orientale e il sari che spesso indossa fanno sì che tutti la scambino per una donna indiana, eppure Paola Garibotti è nata a Brescia e qui ha vissuto fino ai vent’anni.

«Avevo da poco terminato le magistrali al Gambara quando, nel 1987, mi trasferii a Roma per intraprendere la carriera di attrice». Vent'anni di teatro, poi un’altra svolta. «Alla fine del 2008 andai in India con il mio gruppo di yoga. Lì ebbi un vero e proprio colpo di fulmine per il sari e per le stoffe locali. Al punto di trascorrere ogni momento libero in giro per i mercati a fare incetta di tessuti. Al mio rientro decisi: sarebbe stata la mia professione».

Così nel 2009 Paola dice addio al teatro. «Ebbi la fortuna di incontrare Ashok, un indiano residente in Italia, che possedeva una grandissima sartoria a Bombay e conosceva tutti i fornitori di stoffe del Paese. Fu il mio mentore e grazie a lui iniziai a girare l’India alla ricerca di nuovi tessuti. Ero capace di restare anche 12 o 13 ore al mercato e viaggiavo in treno con scatoloni colmi di stoffe e drappi». Ma come trasformare la passione in un lavoro?

Nel 2010 mi recai, senza troppe aspettative, in un prestigioso negozio di Roma, Baullà. Mostrai alla proprietaria i primi abiti che avevo realizzato con le stoffe indiane, e lei mi propose però di allestire una vendita di Natale nel negozio. Faceva freddo e i sari non erano adatti alla stagione, così decisi di utilizzare lo stesso tessuto proponendo alcune sciarpe. Le clienti ne furono entusiaste».

Nel 2011 nasce il marchio Rosita G. (che è anche il nome con cui si fa chiamare Paola, in ricordo della nonna), uno degli unici in Italia a proporre sari e sciarpe con autentici tessuti indiani. «Ma il vero giro di boa fu quando, nello stesso anno, visitai Maheswar, il tempio dei telai. Lì entrai in contatto con il mondo dell’artigianato locale e decisi di convertire la mia attività al solo hand-made. Lo feci innanzitutto per la qualità impareggiabile e poi per il contributo che in questo modo avrei potuto dare alla società e alla tradizione indiana. Chi lavora al telaio, a differenza dei dipendenti delle fabbriche tessili, non ha un’entrata fissa: il lavoro è solo su commissione; l’instabilità economica rischia quindi di distruggere una bellissima tradizione».

Una scelta non è sempre facile da portare avanti: «L’ostacolo maggiore è trovare i tessitori, che vivono in villaggi sperduti. Tuttavia la soddisfazione ripaga la fatica e il mio modo di lavorare è apprezzato sia in Italia sia in India. Il mio obiettivo adesso è promuovere giovani stilisti indiani». Nell’aprile scorso Rosita porta a Roma cinque talenti conosciuti alla settimana della moda di Bombay e questa iniziativa prosegue a Brescia, con la presentazione a Brend il 27 settembre. «Torno in città natale due o tre volte all’anno. Penso che parte della mia operosità e della mia tenacia siano frutto dell’ambiente in cui sono cresciuta. L’India invece mi ha insegnato ad affrontare la vita con più serenità».

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