Omicidio Ziliani, il compagno di cella in tv: «Mirto dubitava fosse morta»
«Non mi sento assolutamente un infame. Qualunque persona avrebbe avuto il rifiuto di rendersi partecipe o tacere su una situazione così così grave. Io ho sempre sentito che era la cosa giusta da fare e così ho fatto. Lo rifarei».
Sa di aver avuto un ruolo determinante. E rifarebbe tutto l'ex compagno di cella di Mirto Milani, l'uomo che ha raccolto le confidenze a Canton Mombello sull'omicidio di Laura Ziliani e le ha poi riferite agli inquirenti, facendo crollare, e ammettere, uno dietro l'altro Mirto, Paola e Silvia Zani. Ospite della trasmissione Messi a fuoco, l'uomo, che all'epoca era detenuto per reati fiscali, è tornato sul suo rapporto con Mirto Milani.
«Non ha mai dubitato di me così come non ha mai mostrato pentimento per quello che è stato commesso. Anzi. In ogni frangente, in ogni circostanza anche emozionale da parte sua, negli alti e bassi che aveva, il suo pensiero era sempre solo rivolto a Silvia e Paola, come mi diceva, e le stesse facevano nei suoi confronti.
Oltre a questo accordo di mantenere il silenzio, qualsiasi cosa fosse accaduta erano perfettamente preparati e d'accordo che avrebbero agito in sincrono in base alla situazione a,b,c dell'evoluzione che la vicenda avrebbe avuto» ha spiegato.
In cella Mirto Milani gli ha raccontato tutto. Ha ammesso come, con Paola e Silvia Zani, hanno ucciso Laura Ziliani. «E - ha spiegato il teste chiave - ha sempre avuto un grande dubbio: non era convinto che Laura fosse morta, sia dopo lo strangolamento in casa quando le misero un sacchetto in testa chiuso al collo con un cavo della corrente, sia durante il trasferimento e anche prima del seppellimento. Aveva queste domande continue che mi poneva. Mi chiedeva: "ma secondo te un corpo può avere ancora delle convulsioni a distanza di tutto questo tempo?"».
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