Omicidio Sana Cheema, il processo al padre subisce altro rinvio
Altro rinvio, altri sei mesi. L’udienza preliminare a carico del padre e del fratello di Sana Cheema, la 25enne italo pakistana uccisa nell’aprile di tre anni fa nella terra dei genitori perché voleva sottrarsi ad un matrimonio combinato dalla famiglia, se si celebrerà si celebrerà a maggio.
Il difensore dei maschi di casa Cheema, cittadini italiani al pari di Sana, ieri ha eccepito la nullità della richiesta di rinvio a giudizio, in quanto non regolarmente notificata agli imputati. Il giudice dell’udienza preliminare ha accolto l'eccezione dell’avvocato Klodian Kolaj e dato tempo sei mesi per ripetere la notifica non andata in porto.
L’ennesimo rinvio fa si che, se mai il caso approderà in aula, lo farà a quattro anni di distanza dalla morte della ragazza, trovata senza vita alla vigilia del suo ritorno a Brescia dopo tre mesi a Gurjiat, sua terra di origine. Dopo un'iniziale confessione, fatta in assenza di un avvocato, Mustafa Cheema, il 52enne padre di Sana, e suo fratello Adnan, che di anni ne ha 33, ritrattarono. «Mangiava poco, non stava bene da giorni, è morta per un malore» affermarono i due al processo celebrato in patria, ottenendo così l’assoluzione per insufficienza di prove. Di tutt'altro avviso la Procura Generale di Brescia. L’allora pg Pierluigi Maria Dell’Osso, che avocò a sé l’indagine, arrivò a concludere che la 25enne fu strangolata dal fratello con il foulard utilizzato per il tradizionale copricapo, mentre il padre la immobilizzava su un letto. Questa l'accusa che i due dovranno affrontare in Italia. Se, e quando, il processo prenderà il via.
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