Omicidio Maioli: la capacità di Gozzini al vaglio dell’appello

In via Lombroso a Brescia nell'ottobre di due anni fa l'80enne uccise la moglie ma fu assolto perché incapace di intendere
L'omicidio avvenne nell'ottobre del 2019 - Foto © www.giornaledibrescia.it
L'omicidio avvenne nell'ottobre del 2019 - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Il delirio di gelosia di Antonio Gozzini - il pensionato 80enne, che la notte tra il 3 e 4 ottobre di due anni fa uccise brutalmente la moglie Cristina Maioli nel loro appartamento in via Lombroso in città e che nel dicembre dello scorso anno fu assolto perché incapace di intendere - torna al centro di un processo.

Dell’infermità dell’uomo ieri si sono occupati i giudici della Corte d’assise d’appello (presidente Giulio Deantoni, Massimo Vacchiano a latere).

Hanno sentito i consulenti di accusa, difesa e dell’ex parte civile, che già si pronunciarono in primo grado, circa l’unico argomento sul quale vi è contraddittorio.

Se è pacifico che Antonio Gozzini quella notte di due anni fa impugnò un mattarello e un coltello, colpì più volte Cristina Maioli, poi chiamò la governante annunciandole di averla uccisa, il sostituto procuratore Claudia Passalacqua (che aveva chiesto l’ergastolo in primo grado) e la procura generale mettono in discussione la conclusione sulla quale si erano trovati concordi i consulenti tecnici di accusa e difesa.

I dottori Sergio Monchieri (incaricato dal pm) e Giacomo Filippini (dal difensore dell’imputato, l’avvocato Jacopo Barzellotti) avevano spiegato nel corso del processo di primo grado, e l’hanno ribadito anche ieri, che Gozzini era affetto da un delirio psicotico di gelosia e a causa di questa condizione patologica aveva riletto e reintepretato eventi di assoluta banalità (come caffé e cene che la moglie aveva avuto anni prima con i colleghi dell’Itis) in modo acritico; era certo di aver capito tutto pur senza averne le prove.

Il tradimento per lui era una verità dogmatica; una convinzione senza critica totalmente destituita di fondamento, nulla a che vedere con l’impulsività patologica, di colui che agisce comprendendo di fare una cosa sbagliata, ma non può farne a meno. Per i consulenti di accusa e difesa - e per la Corte di primo grado - la situazione qui si è capovolta: ad essere colpita dalla visione distorta della realtà è la capacità di intendere, quella di volere ne risulta viziata di conseguenza. Terminato l’esame dei consulenti il processo è stato aggiornato al 21 gennaio prossimo, per le conclusioni e la sentenza. Verdetto che l’80enne attenderà nella Rems dove è ristretto da poco meno di un anno.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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