«Omicidio Maioli: centrale il processo, non l’opinione pubblica»
Da Roma si registra un cambio di rotta. Non arriveranno gli ispettori in tribunale a Brescia. Il Guardasigilli Alfonso Bonafede acquisirà solo gli atti che hanno portato alla sentenza di assoluzione per incapacità di intendere e volere per un vizio totale di mente dovuto alla patologia del «delirio di gelosia», pronunciata in settimana dalla Corte d’assise nei confronti di Antonio Gozzini, l’ottantenne professore in pensione che un anno fa uccise la moglie Cristina Maioli.
Un pronunciamento che ha fatto rumore e generato polemiche a livello nazionale. Nonostante due consulenze psichiatriche, della difesa e dell’accusa, abbiano concordato sull’infermità mentale dell’imputato.
«Bisogna recuperare una certa correttezza di metodo. Le sentenze si possono criticare, ma prima si leggono. Non dico che il lavoro dei giudici non può essere giudicato e controllato, e il ministro della Giustizia ha una funzione di questo tipo, ma bisognerebbe sempre intervenire con cognita causa» è il pensiero del presidente dell’Anm che manda anche un messaggio ai colleghi bresciani. «Voglio esprimere la massima solidarietà. Hanno vissuto un momento di agitazione se non di fibrillazione. Però - aggiunge Santalucia - dico loro che la stessa serenità con cui hanno sentenziato, la devono mantenere in questo momento. Sono convinto che il ministro Bonafede non andrà oltre agli accertamenti annunciati».
Santalucia analizza poi il clima attorno ai casi giudiziari che riguardano femminicidi e violenze sulle donne. «Sui temi della giustizia bisogna accostarsi con maggiore pacatezza. Il processo non può essere analizzato con superficialità d’approccio, altrimenti si rischia di non leggere bene i fenomeni. Io condivido - aggiunge il numero uno dell’Anm - che ci sia forte sensibilità sul tema della violenza contro le donne e sono ben consapevole dell’importanza di contrastare questo fenomeno, però bisogna sapere che quando ci si misura con le sentenze e i processi bisogna essere cauti. Non per rispetto dei magistrati, ma perché il lavoro che svolgono è complesso».
Il presidente dell’Associazione nazionale magistrati difende poi l’operato dei colleghi, quando chiamati a giudicare casi diventati di interesse mediatico. «Noi decidiamo sulla base degli accertamenti fatti nel processo e non sulle urla o per soddisfare l’opinione pubblica. Le nostre decisioni possono piacere o no, ma questo ci deve lasciare indifferenti. Certo - ammette - non è facile isolarsi dal clima di un processo in cui l’attenzione dei media è molto alta, ma i magistrati che studiano le carte e che hanno una solida base tecnico professionale resistono a queste situazioni».
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