Omicidio Da Frank, si indaga sull'ipotesi di usura

Dopo il rinvenimento di 800mila euro in contanti tra negozi e abitazioni dei familiari di Frank, gli inquirenti non escludono l'ipotesi di usura
Carabinieri fuori dalla casa di Marco Seramondi che si è chiuso in silenzio
Carabinieri fuori dalla casa di Marco Seramondi che si è chiuso in silenzio
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«L'usura? È un'ipotesi alla quale stiamo lavorando». Ad affermarlo è stato il questore Carmine Esposito, interpellato riguardo all'omicidio di Francesco Seramondi e Giovanna Ferrari, i coniugi uccisi una settimana fa nella loro pizzeria alla Mandolossa. Non convince infatti la tesi fornita dal pakistano Muhammad Adnan, che ha confessato di essere l'autore materiale dell'assassinio. Ha detto di averlo fatto per motivi di «concorrenza», sostiene di aver ammazzato perché la pizzeria «Da Frank», di proprietà della famiglia Seramondi, faceva più affari rispetto al «Dolce&Salato», il suo locale.

Ma è una tesi che non convince gli inquirenti. L'assassino e il suo complice, l'indiano Sarbjit Singh, hanno utilizzato un fucile a canne mozze che è risultato rubato, e sul quale la Procura oggi ha disposto una perizia. Si vuole accertare che sia realmente l'arma del delitto. Nel frattempo sono stati posti sotto sequestro gli effetti personali dei due fermati, che domattina alle 9.30 nel carcere di Brescia compariranno davanti al gip per l'interrogatorio di convalida del fermo. «Ho incontrato i miei assistiti anche oggi in carcere e come un mantra ripetono la stessa versione dei fatti: che hanno ucciso per concorrenza» ha ribadito l'avvocato d'ufficio dei due, Claudia Romele. 

L'OMBRA DELL'USURA

Eppure, per gli inquirenti qualcosa non torna. È proprio il movente dell'agguato a catalizzare l'attenzione degli investigatori che stanno lavorando sui conti delle vittime e sul tesoretto da 800mila euro trovato nelle disponibilità della famiglia Seramondi. Anche i conti correnti della famiglia bresciana sono sotto sequestro e l'analisi è affidata alla Guardia di Finanza che sta aspettando risposte dagli istituti di credito dove sono stati aperti i conti. Al vaglio degli inquirenti ci sono poi anche i passaggi di mano del locale «Dolce&Salato», oggi di proprietà dell'assassino pakistano, ma che in passato era stato di Seramondi. Lo aveva venduto ad un suo ex dipendente pakistano che, nell'arco di un solo anno, lo aveva successivamente ceduto al connazionale.

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