Olindo e Rosa in aula a Brescia per la revisione: «Non vediamo l'ora che arrivi quel giorno»

Condannati all'ergastolo in via definitiva per la strage di Erba, vogliono la revisione della sentenza di condanna
Olindo Romano in Tribunale a Como - Foto Ansa/Matteo Bazzi © www.giornaledibrescia.it
Olindo Romano in Tribunale a Como - Foto Ansa/Matteo Bazzi © www.giornaledibrescia.it
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Nell'aula della Seconda sezione penale della Corte d'appello di Brecia ci saranno Olindo Romano e Rosa Bazzi, condannati all'ergastolo in via definitiva per la strage di Erba. Vogliono fortemente la revisione della sentenza che li condannò al carcere a vita. Anzi, l'ex netturbino, incontrato dal suo tutore l'avvocato Diego Soddu nel carcere di Opera, ha esclamato, pur un poco frastornato, alla novità: «Non vedo l'ora che arrivi quel giorno per affrontare un vero processo». Anche la moglie, a cui aveva telefonato e che si trova detenuta a Bollate era «felicissima».

Il primo marzo, quindi, a Brescia, il pensiero andrà a quel freddo tardo pomeriggio dell'11 dicembre del 2006 in cui i vigili del fuoco intervennero per domare un furioso incendio nella Casa del ghiaccio di Erba. Domarono l'incendio ma soprattutto trovarono quattro persone uccise a coltellate e sprangate, tra cui un bambino di due anni, Youssef e una quinta che si salvò miracolosamente.

Le nuove prove

Per Olindo e Rosa la sorte potrebbe cambiare se i giudici bresciani, dopo 18 anni, dovessero accogliere e ritenere valide le «nuove prove», a detta dei difensori, raccolte nelle loro istanze per chiedere la revisione della sentenza emessa dalla Corte d'assise di Como. La loro istanza è riunita a quella, addirittura precedente, del sostituto pg di Milano Cuno Tarfusser.

Si tornerà a parlare del riconoscimento da parte del sopravvissuto Mario Frigerio (morto negli anni successivi) di Olindo come il suo aggressore, confermato in dibattimento ma che la difesa ritiene possa trattarsi di un «falso ricordo»; della macchia di sangue della vittima Valeria Cherubini trovata sul battitacco della macchina di Olindo, una «non prova» per la difesa; delle confessioni, poi ritrattate, dei due coniugi che i legali e lo stesso Tarfusser ritengono che abbiano avuto una genesi non genuina, se non addirittura che siano state indotte.

Ci sono poi i nuovi testimoni: un nordafricano che fa risalire la strage a contrasti tra un gruppo di spacciatori nemici di Azozuz Marzouk, marito di Raffaella e padre del piccolo Youssef, due delle vittime, e un ex carabiniere secondo il quale mancano gran parte delle intercettazioni pregnanti nell'ambito dell'inchiesta. Prove che, se ritenute nuove e degne di portare al proscioglimento, potrebbero, una volta accolte e approfondite, avere come conseguenza l'annullamento della condanna dei coniugi. Nel caso contrario rimarrebbe l'ergastolo, per quanto la decisione sia ricorribile per Cassazione.

Pg contro Procura

Rimane sullo sfondo lo scontro tra Tarfusser e la Procura di Como. Massimo Astori, che fu pm nel processo di primo grado e ora è procuratore facente funzione, reagì in modo veemente. Nessun stupore per l'iniziativa dei difensori ma, aveva scritto in una dura nota, quello sui cui i magistrati comaschi non transigono, è che Tarfusser, nella sua proposta usi espressioni come «condanna pronunciata in conseguenza di falsità in atti», «manipolazioni da parte dei carabinieri» e l'uso di fonti di prova «come "grimaldelli” per convincere i fermati a confessare» quando la lettura delle sentenze «non lascia spazio a perplessità». Le confessioni di Olindo e Rosa «sono state dettagliate sino alla descrizione di ogni minimo e più atroce particolare» e «sono state seguite da ulteriori dichiarazioni confessorie a più interlocutori e persino da appunti manoscritti contenenti chiare ammissioni vergati da Olindo Romano in undici diverse occasioni», comprese le annotazioni che l'ex netturbino fece sulla copia della Bibbia in carcere di cui la difesa dà una lettura opposta.

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