Ogni volta che c'è Vasco
Un pomeriggio d’estate, periferia, caldo d’asfalto e nessuno in giro, tranne un’auto ferma al semaforo con «Dillo alla Luna» al volume massimo: «Guardami in faccia quando mi parli, se sei sincera...». Cammino oltre e osservo il ragazzo alla guida, penso di capire. Un altro pomeriggio, anni dopo, andando in auto verso un funerale di quelli in cui piangi davvero, dalla radio esce a sorpresa «Un gran bel film». «Sì lo so che le cose poi non sono mai come... come te le aspettavi te». Quasi passo col rosso, mi fermo al pelo.
Oppure mio figlio, avrà avuto tre anni e mezzo, che in lacrime dopo avere perso una partita contro il nonno cita «Credi davvero: lo dice anche Vasco». Lì mi sono preoccupato di aver creato un mostro. E poi quella ragazzina che in colonia cantava «Ti voglio bene, non l’hai mica capito?...» a me che, intimidito, davvero non l’avevo capito perché nemmeno ci pensavo a quell’età.
Prima dei concerti di Vasco (Vasco Rossi s’intende) mi guardo attorno e mi chiedo quante e quali immagini, sensazioni, storie leghino ciascuna persona alle sue canzoni. Un amore, un dolore, un’ubriacatura, risate fino a bruciarsi la gola, un esame da superare, una pagina da voltare o da strappare. Viaggi diversi, accompagnati dai suoi voli, dalle sue cadute e dalle sue rinascite, che sono diventate anche nostre. La certezza più incerta che ci sia: è anche per questo che si torna, per ritrovarlo, qualsiasi cosa stiamo cercando.
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