Oglio, il racconto di un fiume e dei territori del Bresciano
Nasce da un lago che ha la forma del cuore, unisce le acque delle nostre cime più alte, dal Gavia e dall’Adamello, e attraversa almeno un centinaio di territori prima di congiungersi con il Padre Po. Ha un carattere dolce e forte, e forse per questo suscita sentimenti materni. «Madre, chi sei?» è infatti la domanda che Cesare Mor Stabilini e Giuseppe Barbieri si pongono nell’affrontare il tragitto de «Il fiume Oglio» (Ameritalian, 205 pagine, 30 euro) in un volume che ne illustra il percorso. Racconta l’Oglio «sorgente di vita» per «una valle, un lago e tanta pianura», come rimarca la felice sintesi del sottotitolo scelto dal grande fotografo e dall’amico scrittore.
Tra storia e arte
Allinea cinquecento fotografie scattate in più di mezzo secolo di scorribande lungo il fiume e ora, finalmente, ordinate secondo un criterio che rende il volume un’opera unica, perché va «oltre gli spazi geografici ed emotivi» con un «filo sottile che travalica i tempi e le epoche». Il risultato è «un’operosa testimonianza di ricerca attuale e storico-ambientale», per dirla con Mino Martinazzoli che commentando alcune di queste immagini, trent’anni fa diceva: «Mi par di scoprire nei "colpi d’arte" di Cesare Mor Stabilini tutta la caligine dell’Oglio, il fiume che ospitò le nostre radici nell’appartata e luminosa pausa dell’adolescenza». Mor Stabilini, come Martinazzoli, è cresciuto lungo le sponde del fiume, nato a Barco da una famiglia scesa al piano dalle valli orobiche. E non nega che da queste radici nasce la sua passione per acqua e natura. È dall’alta valle che inizia il viaggio del fiume Oglio, «quando la bianca coltre copre ogni segno, ogni forma, rendendo l’atmosfera di un silenzio ovattato». Il primo tratto è tutto dedicato alla rete dei torrenti ripidi - Frigidolfo, Arcanello, Narcanello - che confluiscono nella conca di Ponte di legno e con forza scendono fino a Edolo. Neve e baite, pecore e agnelli, mucche e vitelli, cascate e segherie fanno da cornice.
Il percorso
È il volto montano del fiume, che muta subito dopo, mentre scendendo verso Breno alterna le misteriose icone preistoriche delle rocce istoriate alla forza produttiva delle centrali idroelettriche. Il corso d’acqua fa da ordito alle trame di castelli, ponti e testimonianze d’una religiosità antica che ha nella Viacrucis di Cerveno il distillato inconfondibile. Magli, mulini e acque termali accompagnano l’Oglio nel suo terzo tratto, verso Pisogne. Mor Stabilini vede il Sebino come un fiume che si allarga, più che un lago, e sulle sponde contrapposte, ritrae insediamenti industriali e pesci al sole, e turismo vivace, giù giù fino all’oasi delle Torbiere. Il quinto tratto, da Paratico a Pumenengo, ha un volto complesso e articolato: industria e ferrovia, colline placide e natura non facile da domare, come ricordano le immagini di epocali alluvioni. Poi si apre la pianura, con le cascine, i campi da irrigare, i boschetti delle rive e le spiagge per le estati semplici di ragazzi d’altri tempi. L’obiettivo di Mor Stabilini apre il proprio orizzonte, nei tratti successivi. L’Oglio è elemento essenziale per i Festoni di Roccafranca e fa da scenografia a boschi e castelli, paratoie irrigue e peschiere, campi a distesa, rive e riserve naturali. Non manca di cogliere, l’occhio attento del fotografo, la storia e le storie che sono sorte lungo il corso del fiume. Pagine delicate e affettuose sono dedicate a Volongo, terra natale mai dimenticata di Carla Fracci, ma anche alle lavandaie che cercavano di alleviare le fatiche con il canto.
Le storie
E ci svela che alla fine dell’Ottocento, a Canneto sull’Oglio visse per un periodo - arrivò che aveva nove anni, se ne andò che ne aveva tredici - Albert Einstein, al seguito del padre Hermann, ingegnere chiamato da queste parti a costruire la prima «officina della luce». Tracce del passaggio del papà e del geniale figlio sono ancora presenti sia al Mulino «Madella» di Casalromano, sia al museo di Canneto. E non meno sorprendeni sono le grandi meridiane che fanno bella mostra sui muri dei mulini di Isola Dovarese.
L'ultimo
Da Piadena in giù il fiume sembra nascondersi nella natura più rigogliosa: pioppi e canneti, nutrie e gabbiani; qui fanno i nidi il gheppio e il picchio, le gallinelle e le garzette. L’acqua scorre fino alla golena che a Scorzarolo segna l’ingresso nell’alveo del Po. È la terra delle poesie di Mario Lodi, della Bozzolo di don Primo Mazzolari e delle musiche del «Rigoletto» di Giuseppe Verdi. Libro di foto e documentazione, guida per ritrovare la nostra terra, la sintesi più bella per questo lavoro la offre Giuseppe Barbieri, nella conclusione: «Ho chiamato Madre e Padre quest’incontro con il fiume Oglio e nel salutarlo, io e Cesare, percepiamo, ancora una volta, di aver sentito la voce del nostro fiume. Arrivederci fiume, fatto non solo di acqua e di storia, non solo di cultura e di armoniche visioni, ma anche del destino degli uomini che hai incontrato durante il tuo perpetuo scorrere».
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