Noris, da casalinga a calzolaio in gonnella e non solo
Guadagnarsi da vivere con la propria abilità manuale, riparando
scarpe ma anche costruendo punto dopo punto borse di lana artigianali. Se per tradizione trovare un calzolaio in gonnella non è la cosa più usuale, trovarla anche sarta, capace di creare o impreziosire gli oggetti che vende, lo è ancor meno. Invece Noris Taiola, la titolare della Bottega di Noris di via Casazza 15, sa fare questo e di più.
Nel suo negozio-laboratorio aperto a metà 2013, rilevato dando una continuità più moderna e graziosa a quella dell’esperto calzolaio Sergio, Noris aggiusta ogni calzatura e ogni genere di accessorio di pelletteria, ridonando nuova vita colorata e ravvivata da tocchi di fantasia a borsette, zainetti, cinture e valige. Se infatti l’attività principale è risuolare le scarpe e sistemarne i tacchi, di cuoio e di gomma, quello che stupisce di più è però la capacità di fondere il ruolo di calzolaio con quello di sarta.
«Un’abilità imparata e affinata in 20 anni di cucito casalingo - spiega Noris - che ho capito come mettere a frutto nel mondo del lavoro attraverso corsi di vario genere, dalla decorazione, al ricamo, passando per la maglieria e il bijoux. Così oggi creo e vendo, piccole cose, ma di grande soddisfazione».
Mamma e casalinga dai 20 ai 45 anni, e poi il salto nel mondo del lavoro. Non è stato facile passare dai fornelli di casa alla cucitrice del
calzolaio per Noris. Ci sono voluti coraggio, impegno, e il sostegno dei figli Anna e Luca, le sue spalle. Per partire però è stato indispensabile anche un anno abbondante di apprendistato, dal calzolaio Sergio, l’artigiano che l’ha preceduta in via Casazza 15.
«Una mattina mi sono presentata dal signor Sergio chiedendogli se avesse voglia di insegnarmi il suo mestiere - racconta l’artigiana di
Casazza -. È bastato uno sguardo e, quasi incredibile, il giorno dopo ero già in laboratorio. È stato un vero apprendistato, faticoso ma appagante per le tante cose che ogni giorno riuscivo a imparare. Poi un giorno Sergio se n’è andato dicendomi: io sono a casa, se ti serve qualcosa puoi chiamarmi, ma adesso tocca a te. Ero spaventatissima, ma non avendo alternative, mi sono buttata. E oggi, dopo 20 mesi, sono ancora qua».
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