«Non la pedinavo, il mio Gps sotto la sua auto è finito per caso»
«Non sapevo chi fosse. Non l’avevo mai nemmeno notata. L’ho vista per la prima volta qui, in aula, a processo. Figuriamoci se la seguivo. E quanto al mio Gps finito sotto la sua auto, posso spiegare tutto». A parlare questa volta è lui, il 61enne con un passato nella promozione di eventi e nell’advertising, convertito oggi alla vendita di aspirapolvere.
Sei mesi dopo la testimonianza della 45enne, che l’ha trascinato a processo con l’accusa di stalking, tocca a lui rispondere alle domande. La sua storia è tutta un’altra storia. Per capirla però è necessario partire dall’accusa.
Il caso
Siamo nella primavera del 2017. La presunta vittima inanella una serie di incontri ravvicinati con il presunto stalker. Incontri che non riesce proprio a giustificare. Se lo ritrova fuori dalla scuola del figlio a Mompiano e fuori dal bar di via Crocifissa di Rosa dove tutte le mattine prende cappuccino e brioche. Si ritrova la sua Range Rover negli specchietti, anche nelle vie più strette della Ztl cittadina e pure nei pressi della concessionaria dove - il giorno in cui la vicenda esplode in tutto il suo fragore - lei porta a bonificare la sua auto dopo aver visto lui, il suo sconosciuto stalker, armeggiarci attorno. La donna non sa perché l’ha pedinata. E non sa spiegarlo. Sa solo che ha paura per sé e per i suoi cari. Suo figlio porta un cognome che può far gola ai peggio intenzionati. Teme il rapimento a scopo di riscatto.
Le giustificazioni
Davanti al giudice Mauro Ernesto Macca, rispondendo alle domande del suo difensore (l’avvocato Giuseppe Pesce), il 61enne ieri ha giustificato (o cercato di farlo) quella presunta marcatura a donna della quale è accusato facendo ricorso da un lato al concetto di coincidenza, dall’altro a quello di incidente. «A quell’epoca le mie figlie frequentavano la stessa scuola media del figlio della signora - ha detto l’imputato - io le accompagnavo e le andavo a prendere pressoché tutti i giorni». Ma non solo. La moglie dell’uomo aveva un negozio in città, poco oltre la galleria Tito Speri. «In via Crocifissa di Rose, proprio nei pressi del bar dove mi vedeva la signora, ci passavo diverse volte al giorno. Mi fermavo al bancomat, davanti al bar, ma anche alla gastronomia o dal tabaccaio nei pressi. Non lo facevo perché c’era lei». Il pedinamento, a detta della vittima, proseguiva entro le mura della città. «Oltre al negozio di mia moglie in centro c’è anche la casa di alcuni parenti. Dove peraltro io ho ancora la residenza, mentre di fronte al concessionaria d’auto in via Vallecamonica c’è la banca dove operavo per mia moglie».
Il nodo Gps
Ok le coincidenze, ma il Gps?«Il Gps è mio. L’avevo comprato anni prima, ma mai usato. Un giorno salta fuori dal cassetto - ha spiegato ieri l’uomo al giudice - e decido di utilizzarlo per controllare il mio levriero. Così lo applico con dello scotch alla sua pettorina». L’impiego del Gps per il controllo del cane da remoto è confermato da un testimone della difesa. È l’imputato a ipotizzare come sia potuto finire attaccato alla macchina della donna. «Quella mattina parcheggiai a tappo, in seconda fila, in via Crocifissa, proprio di fronte al bar. Scesi per andare in gastronomia. Nel tirare fuori le chiavi dell’auto si ruppe il portachiavi. Parte del mazzo finì sotto una vettura, parte sotto la GLE, che poi ho scoperto essere della signora. Non avendo con me altro, sfilai la pettorina, che aveva ancorato il Gps, e il guinzaglio al mio cane e lo usai nel tentativo di recuperare le chiavi. Probabilmente il trasmettitore, che aveva una parte calamitata, è rimasto incastrato sul fondo della vettura durante quella manovra. Al momento, però, non me ne sono accorto».
Dopo l’esame dell’imputato il processo è stato aggiornato al prossimo 12 gennaio per conclusioni e sentenza.
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