Non dovresti essere lì (una corsa contro il tempo)
Ingannare l’attesa dell’emergenza con dei racconti... uno al giorno come nel Decameron. Sollecitati dalla proposta dello scrittore Nicola Fiorin, abbiamo lanciato ai lettori l’idea di inviarci dei racconti per l’eventuale pubblicazione sul giornale o sul sito giornaledibrescia.it.
Chi volesse proporne uno, dovrà attenersi nel limite delle 3.500 battute, ed inviarlo a lettere@giornaledibrescia.it
Il racconto
Quest’anno, l’anno scorso, l’anno prima e l’anno ancora prima, ho rinunciato a tante ore di sonno. Ogni giorno la sveglia è programmata alle sei e quarantacinque. Ma la sveglia non è mai suonata. Non so manco che musica abbia. Se gracchi un bip bip bip o si cimenti nella Nona sinfonia di Beethoven. Mi alzo alle sei, quando albeggia. A volte alle cinque e trenta le mie mani agitano già le lenzuola. E, bada bene, potrei dormire fino alle sette passate: lascio l’appartamento un po’ dopo le otto, c’è abbondanza di tempo. E bada bene, non è come dire Longtemps, je me suis couché de bonne heure, perché io a differenza di Marcel posso andare a letto molto tardi. Sono paranoica.
Ho la percezione che il tempo si contragga, scivoli via, e per questo voglio essere in anticipo sul tempo. E per questo ogni mattina corro, corro per otto chilometri nel quartiere, corro dietro al tempo, lo supero, lo respiro, lo inseguo e lo perdo. Ogni mia giornata incomincia così, e anche se certe giornate sono amare e mi schiacciano e mi sfibrano, io, grazie alla corsa quotidiana, mi sento padrona. Percorro sempre lo stesso giro. D’altra parte, una persona abitudinaria come me, che mai una volta rinuncia agli otto chilometri, non può che costringersi e adagiarsi sul medesimo e unico percorso. Chiuso il portone alle spalle, prendo la destra, in via Dei Piani, per dirigermi ad est, nella parte che si accenderà per prima, perché, potete immaginarlo, a dicembre c’è ancora troppo buio. Un buio disarmante. Devo aspettare maggio per divincolarmi tra sprazzi di luce, e il primo lunedì di quel mese mi accorgo che nella stradina stretta di sanpietrini, con le finestre fatiscenti e le porte così prominenti che sembrano proiettarti addosso l’intimità familiare, di fronte a me c’è un uomo affacciato alla finestra di un corridoio elevato che mi fissa tutto il tempo che ci metto a passare davanti a lui e a superarlo per sparire finalmente dalla sua vista.
Il giorno dopo come mi infilo nella stradina, l’uomo si delinea pian piano alla finestra come una livida apparizione. La mattina dopo ancora lui è sempre lì. Anche la settimana dopo. Persino le domeniche. Soltanto un venerdì mattina non l’ho visto e ho pensato che gli fosse successo qualcosa. Lui è sempre statico, fisso alla finestra. Io sempre in movimento, di passaggio. La verità è che io sono sempre uguale a me stessa, con il volto settato su quel tragitto e basta. Lui invece cambia. È sempre diverso: una mattina fuma una sigaretta, un’altra beve una tazza di caffè. Un’altra ancora fissa lo schermo del cellulare oppure tiene semplicemente le mani intrecciate appoggiate al davanzale. Una volta aveva la testa girata verso l’interno della stanza e intuivo le vene gonfie del collo. Mi sono immaginata che rimproverasse la moglie.
Ogni volta, anche per pochissimo, mi guarda mentre passo. Sempre con un’espressione diversa. Uno sguardo lascivo, un’aria stanca e assente, poi da delinquente, oppure che dice che brava che sei, che costanza! oppure ancora che noia mortifera tu e la tua corsa dell’accidenti! Poi di nuovo la sigaretta, persino un sigaro. Una mattina l’ho sentito ruttare. Una volta temevo che mi sputasse addosso mentre passavo. Eccolo che carica un orologio, con la Gazzetta dello Sport e poi… cos’è quello… un... una… pistola… U-n-a p-i-s-t-o-l-a…bang bang!...dring dring!...oddio, la mia sveglia!
Note biografiche
Annamaria Pezzotti, trentotto anni, di Brescia, laurea in biotecnologie, vive a Siena con la famiglia. Ha pubblicato nel 2017 il romanzo «Il Direttore D’Orchestra» con la casa editrice LiberEdizioni.
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