«Non ci sentiamo responsabili della scomparsa di Iuschra»

I vertici del Fobap parlano a distanza di tre mesi da quando la bambina autistica è svanita a Serle
IUSCHRA, CASO CHIUSO?
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Tre mesi in apnea. Ad aspettare la notizia, positiva, che non arriva. A difendere un intero gruppo di lavoro e i suoi operatori. A garantire continuità all’attività di tutti i giorni.

Tre mesi come se quel maledetto 19 luglio non ci fosse mai stato. Ma sapendo che niente potrà cancellarlo.

Alla Fobap, Fondazione bresciana assistenza psicodisabili, il pensiero di tutti è rivolto a Iuschra, la 12enne affetta da autismo svanita nel nulla durante una gita a Serle con altri ragazzini disabili. Un gruppo di quattordici minorenni che quella mattina sull’Altopiano di Cariadeghe era sotto il controllo degli operatori dell’ente, braccio operativo dell’Anfas.

«Non ci sentiamo responsabili di quanto accaduto. È successo e preghiamo ogni giorno Dio perché la vicenda possa risolversi positivamente, ma la nostra linea non viene modificata» è il pensiero di Maria Villa Allegri vicepresidente della Fobab.

«Nessuno di noi è indagato» ricorda parlando dell’inchiesta della Procura aperta per lesioni colpose. «Sarebbe presuntuoso da parte nostra dare una risposta su dove sia finita la bambina. Hanno detto che a Serle Iuschra non c’è e noi crediamo agli uomini che hanno effettuato le ricerche» spiega il presidente della Fondazione, Giovanni Farinacci che ha ricostruito la dinamica della scomparsa della 12enne bengalese affetta da autismo e che era stata inserita nel progetto Estate su indicazione dei Servizi sociali e del reparto di neuropsichiatria dopo che alcuni grest avevano rifiutato l’iscrizione.

«Non si è allontanata da sola una volta scesa dal pulmino, era seguita dalla migliore educatrice, dalla responsabile» ricorda Farinacci. «Quella mattina il rapporto operatore-bambino era uno ad uno e per noi era una garanzia di sicurezza e assistenza. Nei giorni precedenti avevamo sperimentato in ambienti chiusi l’approccio educativo per seguire Iuschra. Abbiamo scoperto che se presa per mano reagiva male e dunque la modalità scelta era: "Ti lascio spazio e quando ti chiamo torni indietro".

Purtroppo quella mattina non ha più risposto al richiamo, si è allontanata molto velocemente, è stata cercata dagli operatori su sentieri diversi, ma non è più stata trovata».

Cariadeghe, perchè?. La gita a Serle non era una novità per i partecipanti al progetto Estate. «Quel luogo era stato scelto come meta negli anni precedenti. Non era fuori dal mondo e i ragazzini avrebbero dovuto fare solo una passeggiata di poche centinaia di metri lungo un sentiero. Certo che guardando la carta con tutte le doline presenti la gente può pensare: "ma dove avete portato i ragazzi?" però ogni bosco rappresenta un pericolo e nel caso dei bambini affetti da disabilità intellettiva ogni luogo è pericoloso» sostiene Farinacci, padre di un figlio disabile.

Le famiglie, spiegano dalla Fobap con in mano il programma di quella giornata, sapevano con esattezza come si sarebbe svolta la gita a Serle. «Noi abbiamo un approccio dichiaratamente inclusivo con le persone affette da disabilità» racconta Villa Allegri.

«Accompagniamo le persone nei luoghi di vita vera e Cariadeghe era ed è un luogo di vita vera. Un modello di lavoro che non cambiamo. Certo che se tutti dovessero vivere in una situazione protetta queste cose non succedono, ma noi crediamo alla socializzazione e alla qualità della vita e continueremo su questa strada. Sempre nel ricordo di Iuschra, ma ben sapendo - aggiunge la vice presidente Fobap - come hanno detto i nostri operatori dopo la tragedia, che le esperienze che stiamo svolgendo comportano dei rischi, ma le cose vanno fatte lo stesso».

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