Nelle acque bresciane scorrono pesticidi e antibiotici
Nuove analisi di Greenpeace rivelano la presenza di numerosi pesticidi e antibiotici nei corsi d'acqua superficiali che scorrono in aree ad elevata presenza di allevamenti intensivi, come Brescia, dove si registra la di diversi tipi di farmaci.
I campionamenti sono stati eseguiti in ventinove fiumi e canali irrigui di dieci Paesi europei e i risultati sono stati pubblicati nel nuovo rapporto dell'associazione ambientalista «Il costo nascosto della carne».
«La produzione intensiva di carne e prodotti lattiero-caseari, insieme al relativo fabbisogno di mangimi, rappresentano una minaccia per l'ambiente e per la nostra salute. L'uso eccessivo di antibiotici negli allevamenti intensivi mette a rischio l'efficacia di farmaci vitali. I liquami originati da questi impianti, inoltre, inquinano l'acqua e l'aria e costituiscono una fonte di rischio per la fauna selvatica e la salute umana», dichiara Federica Ferrario, responsabile Campagna Agricoltura di Greenpeace Italia.
Gli antibiotici sono stati trovati in oltre due terzi dei campioni analizzati e questa presenza costante potrebbe contribuire, infatti, alla diffusione di batteri resistenti agli antibiotici stessi.
La metà dei campioni esaminati conteneva livelli di nitrati superiori alla soglia considerata sicura per gli organismi acquatici più vulnerabili, anche se le concentrazioni erano inferiori al limite Ue di 50 mg per litro oltre il quale i governi devono intervenire per proteggere fiumi, laghi e vita acquatica.
In tutti i campioni sono stati trovati residui di pesticidi: 104 in totale, di cui 28 ormai vietati in Ue.
In Italia i campionamenti sono stati effettuati in Lombardia, regione dove si concentra oltre la metà della popolazione nazionale di suini. In particolare nel campione raccolto in provincia di Brescia sono stati trovati undici diversi tipi di farmaci, sette dei quali antibiotici: il numero più alto trovato in un singolo campione di tutta l'indagine.
«Per troppo tempo il denaro pubblico ha sostenuto questo modello di allevamento insostenibile, è ora che l'Unione europea e gli Stati membri, Italia compresa, si impegnino piuttosto a incentivare quelle aziende agricole che producono con metodi ecologici allo scopo di tutelare salute pubblica e ambiente, oltre che la nostra agricoltura», conclude Ferrario.
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