Nei vecchi libri un covo per briganti e galline

Se una radice latina lega tra loro mandriani e topografi
Una grotta - © www.giornaledibrescia.it
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Il tarlo mi era rimasto lì in testa. Covava da quando sul giornale di giovedì avevo letto la rubrica del nostro Ruggero Bontempi dedicata alla glaciale Val Adamè, alla cui testata c’è una località che si chiama cùel del manzolér. Luogo e nome e ricchi di un fascino e fuori dal tempo. Andateci se potete. Quel tarlo è tornato a far capolino quando un’amica mi ha reso felice regalandomi un vecchio libro emerso dalla biblioteca del padre. Si intitola «Valle Sabbia e Riviera - Toponomastica e qualche balla», firmato da Natale Bottazzi e pubblicato da Vannini nel 1956. Passeggiando fra le pagine si trovano citati un monte Covelo a Villanuova, un monte Covelo a Vobarno, un Covoli a Toscolano... Io di mio ci aggiungo un Covelo a Iseo. E chissà quanti altri ce ne sono.

Per tutti questi luoghi il nome bresciano è cùel. Che nella parlata dei nostri nonni significa grotta e che il Bottazzi fa scendere dritto dritto dalla voce latina cubile, ovverosia giaciglio, letto, tana.

Alla stessa radice si nutrono i termini italiani che indicano il covo (riparo) dei pirati e il covare (giacere) delle galline. Lo Gnaga, nel suo «Vocabolario toponomastico» del 1937, mette poi in relazione cùel e il suo plurale cùei con la variante quèl e il suo plurale quài. Di quài o di büs - grotte e ripari - sono piene le zone carsiche bresciane. Nei millenni vi hanno trovato rifugio non solo i manzolér (come quelli di Val Adamè) ma anche i briganti. Come quelli raccontati dalle leggende - raccolte a Prevalle a metà Ottocento da don Tenchini - sul Büs del Frà, che sarebbe stato casa di mostri, streghe e folletti. Ma anche di banditi, che si travestivano da frati per le loro scorribande.

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