Naufragio Costa Concordia, morte e paura al Giglio
Un boato e poi il buio. Le urla dei bambini indifesi e le note del pianista che continua a suonare, prima di buttarsi in mare preso dal panico.
Sono le 21.40 di venerdì quando la Costa Concordia si schianta contro uno scoglio a 300 metri dall'isola del Giglio per poi piegarsi paurosamente su un fianco: naufragio in piena regola.
E allora potrà pure chiamarsi «Profumo di Agrumi» e ci si potrà pure augurare che sia una crociera musicale come il nome che le è stato dato. Ma non si potrà dimenticare la legge del mare: non si naviga sottocosta, specie di notte. Tre morti e una ventina di feriti è il bilancio molto provvisorio. Perché ci sono ancora una quarantina di persone tra ospiti ed equipaggio che mancano all'appello: ufficialmente sono dispersi. Si spera siano sfuggiti ai conteggi ufficiali, si teme siano in fondo al mare, intrappolati nei ponti sommersi della nave che non sono stati ancora raggiunti dai soccorritori. I sommozzatori dei Vigili del fuoco non sono scesi: troppo grande è il rischio che la nave scivoli giù sul fondale, finendo per inabissarsi completamente.
Le ricerche - almeno nei ponti non completamente sommersi - andranno ancora avanti, probabilmente, si tenterà di scendere fin laggiù. Per scacciare l'incubo e sperare che siano soltanto i numeri a non tornare.
Era partita mercoledì da Cagliari e ieri aveva fatto tappa a Civitavecchia, la Concordia. A bordo c'erano 3.216 passeggeri e 1.013 membri di equipaggio. 4.229 persone di 62 nazionalità, una babele di lingue e religioni. La meta era Savona, terza tappa di un viaggio di otto giorni nel Mediterraneo, che d'inverno costa meno ma è bello e caldo comunque quando vieni dal Kazakistan o dalla Polonia. Poi sarebbe toccato a Marsiglia, Barcellona e Palma de Maiorca. E poi di nuovo in Italia.
La corsa folle tra il blu del mare si è interrotta su un gruppo di scogli a 300 metri da Giglio Porto. «Abbiamo sentito un boato, saranno state le 21.30, ci siamo affacciati e abbiamo visto delle scintille lungo la fiancata della nave. Abbiamo subito capito che aveva urtato contro "le Scole"», dicono gli abitanti dell'isola che, in una gara di solidarietà che riempie il cuore, hanno aperto le loro case e offerto ai naufraghi tutto ciò che avevano. L'urto è stato violentissimo: la Concordia ha letteralmente strappato uno scoglio del diametro di cinque metri, che si è conficcato nella carena di sinistra, aprendo uno squarcio di 70 metri. Dopo l'impatto, il comandante ha proseguito la corsa per almeno altri 700 metri, per poi gettare l'ancora. Una manovra che ha consentito alla nave di girarsi e di avvicinarsi ulteriormente alla costa. Se non fosse stata fatta, probabilmente, la tragedia avrebbe assunto dimensioni da Apocalisse.
Immediati sono scattati i soccorsi, ma sulla nave qualcosa non ha funzionato. «L'equipaggio ci ha assistito - hanno detto molti dei passeggeri una volta sbarcati -, ma quanto ad organizzazione, zero. Nessuno sapeva cosa fare. E in molti ci hanno raccontato che il comandante era ben consapevole del pericolo, ma ha atteso un'ora e mezza per dare l'ordine di abbandonare la nave». «Le procedure sono state rispettate e l'evacuazione si è svolta nei tempi previsti», controbatte la compagnia. Fatto sta che per almeno un'ora sulla Concordia c'è stato il panico vero. Urla, almeno un centinaio di persone che si sono lanciate in mare e sono state miracolosamente ripescate, giubbotti salvagente strappati di mano in mano e bambini tenuti in alto per sottrarli alla furia di una folla in preda alla follia. Alla fine quasi tutti sono arrivati a riva: tranne due francesi e un peruviano, i cui cadaveri sono stati recuperati dalle centinaia di soccorritori di tutti i corpi dello Stato.
Due inchieste sono state aperte per capire come e perché la nave si trovasse lì: vuole saperlo il Ministero delle infrastrutture, e, soprattutto, vuole saperlo la Procura di Grosseto, che indaga per disastro, omicidio e naufragio colposi e ha disposto il fermo del comandante della Concordia Francesco Schettino anche per l'abbandono della nave. Assieme a lui è indagato anche l'ufficiale di plancia.
Una prima risposta potrà arrivare dalle scatole nere, ma è già chiaro a tutti che la nave si trovava dove non doveva essere. Ora bisogna stabilire il perché. Sull'isola la risposta già ce l'hanno, anche se la dicono a mezza bocca: il comandante non ha fatto altro che ripetere una «prassi». Quando si passa nei pressi di un'isola, ci si avvicina il più possibile per portare il saluto. Schettino però si è avvicinato troppo.
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