«My fourteen days»: se in quarantena il quotidiano diventa arte
In una foto c'è Elena che osserva un mappamondo, di quelli che si illuminano. Lo sfiora con le punte delle dita, come a dire che sì, arriverà il giorno in cui torneremo a viaggiare. In un altro scatto c'è Nicola che pesca da uno zainetto due grossi barattoli di pomodori pelati. Una coppia di piccoli graal, ai tempi del coronavirus.
Lei è Elena Pagnoni, fotografa bresciana che - nel mondo di prima - si occupava di immortalare eventi, concerti e matrimoni. Lui è Nicola, il suo compagno. Insieme sono i protagonisti di «My fourteen days», un reportage fotografico scattato tra le mura di casa durante la loro quarantena obbligata, iniziata il 6 marzo perché entrambi avevano avuto contatti stretti con una persona positiva al Sars-CoV-2.
Dal giorno uno, Elena inizia a documentare con la sua Nikon d750 un'esperienza quotidiana che, dopo meno di una settimana, sarebbe stata condivisa da tutti gli italiani. Lockdown, chiusi in casa. «Non sapevo bene come raccontare queste giornate, passate a lavorare, leggere, giocare al Nintendo, guardare la tv e seguire le notizie. A fare riunioni in videochat, mettere in stand-by progetti e sogni personali, dover annullare un evento su cui si è lavorato tanto. Ansie e preoccupazioni miste ad attimi di felicità e di va tutto bene. Intanto fuori le strade si stavano svuotando, i commercianti chiudevano, gli ospedali si riempivano fino a non avere più letti».
Prende corpo così una piccola collezione di momenti intimi, catturati dall'obiettivo. Sfogliarli fa sentire meno soli, perché è tutto un ritrovarsi. Fare il bucato, aspettare le provviste portate da chi fa la spesa e la lascia fuori dalla porta, immergersi in un film e poi ricordarsi all'improvviso che siamo nel mezzo di una pandemia. Tutti. Le uniche che possono restare indifferenti sono Trilly e Daphne, le gatte. La loro vita non è cambiata, la nostra sì.
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