Muoversi in tempi di Covid: come ripensare la città
È diritto di tutti noi spostarsi liberamente, lo sancisce la nostra Costituzione all’articolo 16, ma per la prima volta nella storia della Repubblica, per motivi sanitari, è stata limitata la possibilità di muoversi. Un grande sacrificio per tutti noi, perché la mobilità è una componente essenziale della nostra vita, in tutti gli ambiti: sociale, lavorativo e culturale.
Ma il grosso problema da affrontare sarà la mobilità in ambito urbano, in cui vive la grande maggioranza della popolazione, in quanto i mezzi di trasporto collettivo non potranno offrire generalmente più del 20-40% dei posti disponibili e quindi non potranno più soddisfare la domanda nell’ora di punta, con il rischio che non si possa garantire ai cittadini l’accesso ai diversi servizi (soprattutto quello scolastico).
È certo che una quota parte delle nostre attività sarà svolta in «smart working», ma è altrettanto vero che una quota considerevole dovrà svolgersi in presenza. L’istruzione non potrà essere fatta solo per via telematica e questo vale per tutti i suoi livelli. Anche a livello universitario è indispensabile una buona parte della docenza in presenza (basti pensare alle prove di laboratorio per le discipline scientifiche).
La minore capacità dei mezzi collettivi non potrà essere sostituita con l’uso della propria autovettura, a causa dell’inevitabile congestione causata dal traffico ed il conseguente inquinamento atmosferico e acustico. Per un periodo non certo breve sarà indispensabile ripensare all’utilizzo dei nostri «ambienti stradali», cioè riqualificare gli spazi pubblici all’aperto per consentire una modalità di mobilità sostenibile.
Ma come potremo muoverci nelle nostre città? La risposta non può essere solo relegata alla tecnica dei trasporti, poiché la mobilità tocca diversi temi in più ambiti. Per esempio, dalla pianificazione urbanistica (che dovrebbe prevedere la localizzazione di servizi primari raggiungibili a piedi in pochi minuti), dal piano del commercio o da quello, ancora disatteso, della pianificazione dei tempi della città (l’avvio delle diverse attività senza creare orari critici, come l’ora di punta del mattino con l’apertura delle scuole).
Pertanto, nell’ambito dei trasporti, l’unica strategia adottabile è adeguare l’ambiente stradale per favorire la mobilità non motorizzata e la micromobilità elettrica. Il camminare deve essere il miglior sistema per muoversi in città, quindi è necessario riqualificare i percorsi pedonali rendendoli attrattivi, confortevoli, sicuri per tutti, dagli anziani ai bambini e a coloro che hanno difficoltà motorie.
La mobilità ciclistica, che in questi ultimi anni si sta sviluppando, rileva ancora una scarsa quantità e qualità degli spazi a lei dedicati. Una novità sarebbe la micromobilità, intendendo quei dispositivi per la mobilità personale con motori elettrici (come i monopattini elettrici). In alcune nazioni europee tali dispositivi di micromobilità elettrica hanno avuto un grande successo, soprattutto con il servizio a noleggio (sharing mobility).
In Italia l’esperienza non è ancora significativa, ma sta guadagnando popolarità, in alternativa all’uso dell’automobile per brevi spostamenti tra 0,5 e 4,0 km. La normativa italiana recentemente ha autorizzato la circolazione dei dispositivi di micromobilità elettrica, demandando ai Comuni le norme di circolazione, e ha equiparato alla bicicletta il monopattino elettrico. L’utilizzo di questi nuovi mezzi ha sollevato numerosi quesiti riguardanti la sicurezza e alcuni centri di ricerca, tra cui il CeSCAM della nostra Università, stanno individuando quali possano essere gli accorgimenti infrastrutturali e le norme di circolazione.
Questa nuova tipologia di dispositivi, che comprende anche i motorini elettrici, è rivolta maggiormente ad una popolazione giovane. Lo studente o il giovane lavoratore potrebbero utilizzarli per raggiungere il luogo di studio/lavoro come valida alternativa all’auto. Ma le città devono adeguarsi subito e quindi sono necessarie anche opere provvisorie, con la sola segnaletica orizzontale e verticale ed elementi, come coni o delineatori flessibili, per separare dal traffico degli autoveicoli lo spazio per le biciclette e per questi dispositivi.
Cosa si potrebbe fare nella nostra città? Agire su più fronti: incrementare, con l’apposito segnale, le «strade residenziali», in cui è consentita la precedenza ai pedoni e ciclisti; ampliare le «Zone 30», in cui è possibile una certa promiscuità tra autoveicoli e i veicoli a due ruote; potenziare l’ottimo servizio di BiciMia. Per gli studenti dell’Università ed anche per i suoi dipendenti, oltre ad applicare una scontistica agli abbonamenti al Trasporto Pubblico Locale (Tpl), coordinata dal Comune di Brescia, sarebbe da prevedere la dotazione, a noleggio o con convenzioni con società private di sharing, di dispositivi di micromobilità elettrica.
L’Università degli Studi di Brescia, impegnata da tempo nel tema della sostenibilità ambientale, sta studiando, coordinandosi con tutte le università lombarde, come incentivare l’uso della bicicletta e della micromobiltà elettrica, cercando di mettere a disposizione risorse, in aggiunta a quelle promesse dal Ministero. Pertanto è da auspicare che anche l’Amministrazione comunale riesca ad organizzarsi per rendere sicure le sue strade per questi dispositivi (Milano ha avviato un interessante piano di semplici invertenti, denominato «Strade aperte»).
Queste iniziative, realizzate in «emergenza», non saranno «sprecate», perché passato il periodo di convivenza con il contagio, si potrà disporre di una notevole esperienza ed adottare definitivamente quelle misure che risulteranno più idonee a consentire una mobilità in città, non solo sostenibile, ma anche sicura.
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