Moschea, i giudici riaprono viale Piave

Il Consiglio di Stato sospende l'ordinanza della Loggia che chiudeva il centro islamico. Attesa la definitiva sentenza di merito.
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Ne va dell'esercizio di diritti costituzionalmente garantiti. Ecco perché l'ordinanza della Loggia che chiudeva la sede della associazione islamica di viale Piave va sospesa, in attesa di una sentenza che entri definitivamente nel merito della questione. Questa l'ordinanza che i giudici della Quarta sezione del Consiglio di Stato hanno depositato ieri nelle cancellerie di Roma.

Al centro della vicenda c'è il seminterrato di viale Piave utilizzato dalla Associazione culturale centro islamico Minhaj Ul Quaran, attorno alla cui attività si erano mobilitati il Comitato quartiere sicuro e lo stesso condominio che ospita l'immobile. Le proteste dei cittadini avevano trovato il sostegno di Lega Nord e centrodestra, tanto che il Comune cittadino aveva emesso un'ordinanza che imponeva la chiusura dei locali.

Complessa - e non ancora definitivamente conclusa - la vicenda giudiziaria che ne è nata. Contro l'ordinanza di Palazzo Loggia infatti l'associazione islamica si era rivolta al Tar chiedendo di poter continuare a svolgere la propria attività. I giudici del Tribunale amministrativo bresciano avevano una prima volta respinto la richiesta di sospensiva del centro Minhaj Ul Quaran, il quale si era già rivolto in quell'occasione al Consiglio di Stato ottenendo un ribaltamento dei provvedimenti e quindi l'annullamento dell'esecutività dell'ordinanza comunale di chiusura.

Ma la vicenda doveva riservare ulteriori sviluppi, perché nel frattempo i giudici amministrativi bresciani di primo grado erano giunti ad emettere una sentenza di merito, da un lato confermando l'agibilità dell'immobile e dall'altro limitandone però l'utilizzo. Anche su questo secondo pronunciamento del Tar di Brescia l'associazione islamica ha deciso di presentare ricorso, ottenendo anche stavolta dai giudici del Consiglio di Stato la sospensione di quel divieto di Palazzo Loggia.

L'ordinanza depositata in cancelleria dalla Quarta sezione di Roma sottolinea infatti che «le questioni sollevate nell'appello appaiono meritevoli di attento approfondimento nel merito» e che «nelle more di ciò va accordata prevalenza all'esigenza di evitare il grave pregiudizio che riverrebbe all'associazione appellante - anche sotto il profilo dell'esercizio di diritti costituzionalmente garantiti - dall'assoluta impossibilità di utilizzare l'immobile» in causa.

Il Consiglio di Stato dovrà ora emettere sulla vicenda una sentenza di merito. Nel frattempo i giudici romani ribadiscono che «resta salva e impregiudicata la facoltà del Comune di adottare le misure di propria competenza per prevenire e reprimere gli eventuali usi dell'immobile incompatibili con la destinazione a sede dell'associazione (con riserva di accertare in sede di merito se tali usi impropri comportino un mutamento della destinazione d'uso)» ma solo «ove sia provato che questi determinino pericolo per la sicurezza e l'incolumità pubblica o privata».
m. l.

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