Metti una sera a cena e il mistero del bertagnì
«Ma perché il bertagnì si chiama proprio bertagnì?» Sembra di vederli, Mauro e i suoi soci, che la sera a cena si arrovellano fra ricordi, ricette e dubbi etimologici. E che si impuntano sul baccalà impanato e fritto, piatto che da sempre frequenta le tavole nostrane. Ognuno di loro avanza una soluzione e alla fine - ahimé - l’unica sulla quale tutti concordano è: «Chiediamo a Dialèktika». Aiuto, troppo alta l’aspettativa. Risposta facile non ho, ma ci provo.
Qualcuno degli amici di Mauro ricorda la vicinanza alla parola dialettale bertaèl, cioè il bertovello, una rete a nassa usata sia per la pesca sia per l’uccellagione. Ma qui l’etimo porta al latino vertibellum da vertere che significa volgere, avvolgere. Non mi soddisfa. Provo a cercare muovendomi a tentoni fra antichi vocabolari di dialetti padani. Nel dizionario bolognese-italiano pubblicato nel 1869 da Carolina Coronedi Berti il bertagnèin è il merluzzo impanato. Ma l’illuminazione è lì, subito sopra, che mi guarda. È la voce precedente: Bertàgna, che significa Bretagna. Il meccanismo dell’inversione fra due lettere (i linguisti lo chiamano metàtesi) è ben presente nei dialetti: friulano diventa furlàn, per i toscani la palude diventa padule, per gli emiliani i bresciani sono bersàni... Scavo ancora, e così imparo che per secoli il commercio del baccalà in Nord Italia è stato alimentato dagli impianti di Bordeaux, Le Havre e Saint Malò che essiccavano il merluzzo pescato (guarda caso) nel mar di Bretagna. Insomma: il bertagnì è il baccalà di Bertagna.
A me pare una spiegazione ragionevole. Mauro e i suoi soci a cena che ne diranno?
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