Maxi inchiesta antimafia a Brescia: il punto della situazione
Dalla Sicilia alla Lombardia. Da Gela al territorio bresciano. La mafia «in giacca e cravatta» al cospetto degli imprenditori locali del nord, offrendo pacchetti «all inclusive» per evadere le tasse, ma anche per evitare controlli.
Questo il succo dalla maxi inchiesta della direzione distrettuale antimafia di Brescia firmata dal sostituto procuratore Poalo Savio e dal procuratore capo Carlo Nocerino che ha fatto luce su una presunta cellula autonoma che avrebbe garantito un'evasione fiscale milionaria attraverso la compravendita di crediti di imposta.
Solo a febbraio, venivano depositate da Finanza e Polizia di Stato le informative sull’attività di indagine. In quel periodo il pm della antimafia Savio aveva illustrato, proprio durante «Messi a Fuoco», la trasmissione di approfondimento condotta da Andrea Cittadini, il modus operandi della mafia in giacca e cravatta.
Duecento gli indagati complessivamente, 69 gli arresti e 75 le ordinanze di custodia cautelare (perchè ad alcuni soggetti sono contestati più reati) emesse dal gip Carlo Bianchetti: 15 per associazione a delinquere di stampo mafioso, altri 15 per indebita compensazione; 18 per reati contro la Pubblica amministrazione. In questo ultimo filone è scattato l’arresto del direttore dell’Agenzia delle Entrate di Brescia. Infine, altre 27 per emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
«Tra l'inchiesta della Procura di Brescia e quella della Procura di Caltanissetta sono emerse due organizzazioni criminali di stampo mafioso separate» ha spiegato il procuratore di Brescia Carlo Nocerino che ha ottenuto anche il sequestro di beni mobili ed immobili per quasi 35 milioni di euro.
«Una separazione tra le due realtà mafiose emersa dalle nostre indagini - ha proseguito -. L'organizzazione bresciana ha fortemente respinto un tentativo di abbordaggio della Stidda gelese. Un tentativo di bloccare la cellula bresciana che ha però resistito manifestando l'intenzione di mantenere la propria l'autonomia».
Da Brescia, grazie ai crediti venduti agli imprenditori, sarebbe però a lungo stato finanziato il traffico di droga gestito in Sicilia. Da un'intercettazione telefonica è emersa la volontà tra i due gruppi di non arrivare allo scontro.
«La guerra non porta a niente, la pace porta a qualcosa» è il contenuto dell'intercettazione che gli inquirenti ritengono la dimostrazione della pax mafiosa raggiunta per il controllo del sistema imprenditoriale a più livelli. L'anello di congiunzione tra i presunti mafiosi e gli imprenditori era rappresentato dai «colletti bianchi», i quali individuavano tra i loro clienti quelli disponibili al risparmio facile sulle tasse. Coinvolti commercialisti a Brescia e a Torino, ma anche consulenti legali. In un anno e mezzo, il gruppo criminale è riuscito a commercializzare crediti fiscali inesistenti per circa 20 milioni di euro.
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