Manuela, un'altra donna derubata della vita senza pietà
Come si può andare in ferie dopo aver sepolto il corpo della donna un tempo amata? Un’altra donna morta. E un’altra ancora scomparsa. Perché le donne muoiono? Perché le donne scompaiono per essere poi trovate morte? Qualcuno si considera padrone delle loro vite, possessore non riconosciuto delle loro esistenze che però sfuggono al suo controllo, comandante inascoltato dei loro sentimenti.
Perché ci sono uomini, evidentemente, che ritengono di essere autorizzati ad aggiogare e gestire le vite di persone da cui suppongono di dover essere amati, riconosciuti, obbediti. Uomini che ritengono che predominare sia meglio che vivere insieme, uomini che - in base a chissà quale balzano presupposto - ritengono che plasmare un’esistenza in base alla propria volontà significhi essere amati, anche se questo può avvenire solo polverizzando la volontà di chi a questa prepotenza saggiamente cerca di sottrarsi
Uomini per cui la relazione è una dinamica unidirezionale di cui esigono (su presupposti che solo loro conoscono) di dettare la destinazione, il percorso e la velocità. Persone che non cercano l’altro, ma un riflesso di se stessi abbrutito e sottomesso. Esseri umani adulti con un’emotività distorta che non accettano la vita abbia un disegno diverso da quello delle loro personali visioni. Si può andare in vacanza con la famiglia dopo aver seppellito in una cascina il corpo della donna che un tempo è stata la propria amante.
Si può parlare di lei al passato in un’intervista tv e poi fare la valigia per confermare la partenza. E si potrebbe pure, magari, leggere le colonne dei quotidiani per vedere che cosa si dice della propria ex-amante, ormai sepolta, incuriosirsi di come viene dipinta e pure avvistata qua e là, e magari nemmeno da sola.
Vederla con gli occhi degli altri, estraniarla da sé come è estranea di fatto per chi ne parla, la cerca, immagina di vederla. La cronaca nera ci offre grandi possibilità di assistere alla vita degli altri. Di conoscerne le famiglie, il lavoro, le relazioni, le circostanze felici e i momenti grami, insieme alle facce e alle ultime parole (che non si sapeva fossero tali) mandate via messaggio o dette forse per caso. È come assistere a una rappresentazione che comincia però quando il sipario si sta abbassando sull’ultimo atto, quando i giochi sono fatti e si sta arrivando al punto fermo.
Quando ho letto che Manuela Bailo è morta, mi è dispiaciuto molto. Non solo il dispiacimento legittimo per la morte di qualcuno, una fitta di qualcosa di più. Mi sembrava di saperne parecchio di lei e il suo viso di donna bella senza artifici, giovane senza eccessi, sorridente con gli occhi, in me aveva fatto breccia. Per una ventina di giorni è stato quasi impossibile non sapere con chi vivesse, con chi avesse avuto una relazione, situazioni comuni e allo stesso tempo insolite, che hanno aperto il campo a speculazioni, illazioni, considerazioni. Che forse hanno favorito la confusione tra lei e qualcuna che le somigliava ora a una tavola ora in un parco.
Da lettori spesso seguiamo le notizie come se potessimo trovare i sintomi di qualcosa che non andava, le avvisaglie che stava per essere messa in scena la cronaca di una morte annunciata: come se trovarli ci rassicurasse che c’è un motivo dietro ciò che accade, una dinamica di causa-effetto che forse ha nella vita della vittima la sua ragione e la sua causa scatenante, di fatto garantendoci che nell’ordine delle nostre vite questo non potrebbe accadere o potremmo accorgercene prima ed evitarlo.
Le cronache, come le indagini, eviscerano le vite ma nelle sale di anatomia gli organi sono inerti, passivi, senza pulsazioni, proprio come le tracce cui ci si aggrappa per ricostruire, ricercare, provare a dar notizia. Tutti tasselli che ci fanno ricostruire biografie monche, cave e vuote dove ci starebbero le emozioni, le casualità, le improvvisazioni che interagiscono quotidianamente nella nostra esistenza. Di ciò che Manuela ha scelto abbiamo tutti i punti fermi, ma unendoli in un tratteggio dobbiamo ricordare che abbiamo visto troppo, che dobbiamo passare dall’esercizio di osservatori all’esercizio intelligente di consapevolezza che la vita ha mille sfumature, tante motivazioni, infinite ambizioni e desideri e urgenze che la dettano non per essere capita da chi la guarda ma accettabile per chi la porta avanti.
Vorrei essere capace di sperare che chi ha confessato il delitto, indicato il luogo della sepoltura sappia almeno adesso rispettarla, parlando di sé e non di lei, finalmente lasciando alla vittima la pace che merita. Da lettore di cronaca, non voglio credere che per Manuela le parole e i pensieri siano stati più affilati perché donna. Ma - e mi auguro di poter essere smentita - mi pare che se fosse stata un uomo forse avremmo saputo anche altro, qualcosa in più sul lavoro, qualcosa in più sul giro di amicizie, qualcosa di diverso e più tridimensionale delle geometrie amorose.
Che la terra le sia lieve, il rispetto dovuto e la giustizia fatta. E che quando una donna scompare si prenda finalmente consapevolezza che è una vittima, non (fino almeno a prova contraria) una concausa di ciò che sta accadendo. Donne, usate una cortesia a voi stesse: rispettatevi, riguardatevi, restate lucide e consapevoli, meglio se leggermente sempre all’erta, perché non ci sono ultimi chiarimenti da dare, non ci sono ultime cose da scambiarsi, non ci sono dimenticanze cui rimediare.
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