Loveparade, rabbia e disgusto dopo le lacrime
Duisburg, la città dell’acciaio piegata dalla Loveparade. Duisburg, la città in bancarotta che cerca di darsi una prospettiva, tra ubriaconi per le strade e nei parchi. Duisburg, la città da cui, dopo la commemorazione di mercoledì, feriti e familiari delle vittime della strage del 24 luglio 2010 vogliono solo scappare. Per tornarci, magari, il giorno in cui si aprirà il processo. Si parla del prossimo autunno, l’importante è che sia prima del quarto anniversario.
In aeroporto, Nadia Zanacchi, madre di Giulia Minola, è accompagnata dalla sorella Sonia. Entrambe hanno l’aria stanca e non potrebbe essere altrimenti, dato che nella città della Renania Settentrionale-Vestfalia hanno ricordato la vita spezzata della ventunenne bresciana, assieme a quella di altre venti persone. Alla celebrazione, per quanto dolorosa, Nadia Zanacchi non vuole rinunciare. «La nostra non è una questione privata - dice -, e non potrà mai esserlo. Non vogliamo che la cerimonia si rimpicciolisca sempre più fino a sparire». Ciò che non le piace è l’intrusione del sindaco di Duisburg che nella commemorazione di mercoledì ha voluto tenere un discorso. Tra familiari si incontrano adesso due o tre volte l’anno, affiancati dalla Notfallseelsorge, l’associazione che dà un supporto psicologico e spirituale. Oltre ai genitori, la sofferenza è forte anche nei feriti. «Alcuni si sentono in colpa per essere sopravvissuti», spiega Uwe Rieske, tra i responsabili dell’associazione. Mercoledì sera una ragazza è stata male in hotel, dopo la commemorazione nella Salvatorkirche di Duisburg. Una crisi pesante, causata dai ricordi e dall’alcol, in cui si vedeva la violenza di un trauma ancora ingestibile.
Del resto, chi è stato colpito dal dramma della Loveparade si confronta con una strage senza senso. Una festa fatta nel luogo sbagliato, in cui non c’era fisicamente lo spazio per far affluire e defluire centinaia di migliaia di persone. Un caos affrontato senza preparazione, tra servizi di sicurezza insufficienti (234 persone), barriere della polizia che saltavano di fronte alle masse che volevano entrare nel tunnel che portava al rave, ricetrasmittenti che non funzionavano e altoparlanti, per i messaggi nella fase di emergenza, che non c’erano.
Col processo si vedrà chi è colpevole penalmente, per ora ci sono sedici indagati, mentre purtroppo non è stata avviata alcuna commissione d’inchiesta sulle responsabilità politiche. Una domanda resta: «Chi e perché ha dato il via ad un simile disastro?». Nell’incoscienza colpevole della Lopavent, la società organizzatrice, interessata a raccogliere il massimo profitto da quella che doveva essere la più bella Loveparade di sempre e che invece è passata alla storia per la morte di 21 persone schiacciate nella calca, il ferimento di oltre 500 e la devastazione provocata in chi è rimasto. Alla fine, Nadia Zanacchi, riassume la catena di eventi in una sola breve frase: «È uno schifo». E poi via sul l’aereo. Che porta lontano, ma mai abbastanza.
Dall'inviato
Emanuele Galesi
e.galesi@giornaledibrescia.it
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato