Loveparade, dieci anni dopo: una ferita aperta senza colpevoli
«Preferirei essere a Duisburg, vivo male il fatto di non partecipare per la prima volta. È un modo per ricordare con gli altri familiari, questo momento di condivisione tutti assieme mi mancherà». Per la prima volta, Nadia Zanacchi non parteciperà alle commemorazioni della strage della Loveparade, in cui il 24 luglio di dieci anni fa ha perso la figlia Giulia Minola, morta nella ressa all’ingresso della festa con altre venti persone. Le limitazioni imposte dal coronavirus l’hanno convinta a evitare il viaggio in Germania, dove le cerimonie si svolgono in maniera ristretta, con dirette Facebook per consentire comunque a più persone possibile di prendervi parte.
I momenti di raccoglimento a Duisburg hanno un valore privato, consentono cioè ai familiari di stringersi nuovamente insieme per condividere il ricordo di chi è scomparso in quella che doveva essere semplicemente una festa, ma che invece terminò con ventuno vittime e oltre seicento feriti. Al tempo stesso, hanno un valore pubblico, perché ribadiscono che ciò che è accaduto non deve più ripetersi e che quelle vite non possono essere dimenticate.
Con il passare degli anni, il rischio di un progressivo accantonamento c’è. Tanto più adesso che il processo si è concluso il 4 maggio scorso con un’archiviazione per gli ultimi tre imputati rimasti. Anche in questo caso, c’entra il coronavirus: la Procura, gli avvocati difensori e il Tribunale si sono accordati per chiudere anzitempo le udienze, viste le difficoltà connesse al Covid-19. Una mossa giudicata come «opportunistica» dai familiari delle vittime, decisamente contrari anche se senza voce in capitolo nella scelta. Proprio in questi giorni, il procedimento sarebbe comunque arrivato al capolinea per via della prescrizione, l’eventualità che non si arrivasse a un verdetto era praticamente certa. Resta il fatto che le udienze si sono chiuse prima che il perito Jürgen Gerlach potesse presentare i risultati del suo lungo studio in cui, dopo avere ascoltato le testimonianze in aula e analizzato i documenti disponibili, ha ripercorso la strage, ricostruendo le responsabilità a tutti i livelli.
Pur senza perizia, anche senza un giudizio finale nei confronti dei tre dipendenti della società organizzatrice, la Lopavent dell'imprenditore Rainer Schaller, le 183 sedute nella Fiera di Düsseldorf, usata come sede speciale del tribunale, hanno contribuito a fissare la catena delle colpe. In primis, gli organizzatori hanno sbagliato nello scegliere l’ex scalo ferroviario abbandonato per la Loveparade in quanto l’area era accessibile soltanto attraverso un tunnel e una stretta rampa, un imbuto in cui si è consumata la tragedia, con le vittime travolte dalla folla impazzita. In assenza delle condizioni di sicurezza, con una programmazione del tutto fittizia in merito alle misure per contenere il pubblico, il Comune di Duisburg non avrebbe mai dovuto autorizzare la festa, ma nessuno, ribadiamo nessuno, si è mai posto per esempio il problema del tunnel durante la fase autorizzativa, in uno scaricabarile tra i diversi uffici. La Polizia ha gestito la sicurezza, già carente per via di alcune scelte al ribasso da parte della Lopavent, in maniera improvvisata, alimentando di fatto l’ingorgo di spettatori all’ingresso della festa con una serie di cordoni non coordinati tra loro per rallentare l’afflusso. Poliziotti che peraltro faticavano a comunicare, con le ricetrasmittenti che non funzionavano e i telefonini inutilizzabili per via delle reti sovraccariche.
Anche il land Renania settentrionale-Vestfalia avrebbe dovuto capire per tempo i rischi connessi a un evento gratuito con centinaia di migliaia di partecipanti, ma non mosse un dito per non rovinare uno degli eventi dell’anno della cultura 2010, di cui l’area della Ruhr era capitale. Hannelore Kraft, all’epoca presidente del Land e ora deputata dell’Spd nella Renania, il 25 giugno scorso ha chiesto scusa ai familiari in un discorso in Parlamento. Parole che non cancellano le indagini parziali, in cui politici e rappresentanti delle forze dell'ordine non furono coinvolti (tranne un poliziotto) e un processo monco, con imputati di livello intermedio tra Comune e società organizzatrice, ma che sono state comunque apprezzate. Dieci anni dopo, rappresentano una delle poche cose che resta, a parte il dolore e l'amore che, come recita la scritta sul memoriale dedicato alle vittime, non finisce mai.
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