Lei lo rifiutò e lui «frustrato dal no» tentò di ucciderla
Per i giudici non ci sono dubbi su come siano andati i fatti quella sera. «La donna ha subito un’aggressione che si è concretizzata in una presa per il collo con stretta idonea a cagionare nel giro di pochi minuti la morte della parte offesa. Evento che non si è realizzato solo per l’inaspettata reazione della vittima». È quanto scritto nelle motivazioni della condanna a sette anni e sei mesi per tentato omicidio, pronunciata nei confronti di Filippo Vitello, 36enne ex dipendente del Comune di Nave arrestato sei mesi dopo lo sfogo su Facebook di una donna, 40 anni, che conosceva e con la quale, da un bar all’altro della provincia, aveva trascorso la serata del 20 gennaio 2019.
Fino a quando all’alba «l’imputato, frustrato dai comportamenti di una donna che lo stava usando come un semplice autista e che non appariva interessata ad un rapporto sessuale, in un eccesso d’ira, ha tentato di ucciderla prendendola con le mani per la gola e cercando di soffocarla» come ricostruito dalla pm Marzia Aliatis.
La tesi è stata ritenuta valida dai giudici che hanno inoltre considerato sempre credibile la vittima, nonostante non abbia mai denunciato ai Carabinieri la vicenda, affidando il proprio pensiero solo ai social con un messaggio poi intercettato dagli inquirenti.
«Tali scelte - si legge - sono compatibili con il disorientamento e la difficoltà provocatole dall’accusare una persona che considerava amica». Stando al racconto della stessa vittima, la donna era riuscita a scappare dall’auto di Vitello, in zona Casazza in città, allontanandosi poi a piedi verso Concesio. Fermandosi lungo il tragitto a chiedere aiuto a casa di una residente in zona, infermiera di professione, che in aula ha descritto «lo stato di terrore in cui si trovava la ragazza quando ha bussato alla finestra».
L’ex dipendente comunale ha sempre rigettato le accuse, sostenendo di essersi limitato a strattonare l’amica perché lui si era rifiutato di consumare cocaina e lei aveva tolto le chiavi dal cruscotto. Il tutto è avvenuto in una area appartata. «Avevo bevuto birre e amari e ho fatto le strade interne per andare verso Nave perché volevo evitare controlli di Polizia e poi dovevo fare pipì» ha spiegato l’uomo durante il processo. «Appare del tutto illogico che l’imputato avesse optato per tale percorso» sostiene invece il collegio giudicante. «Lasciata la tangenziale ed entrato a Brescia per via Oberdan, avrebbe potuto dirigersi verso nord-est e nel frattempo fermarsi in qualche piazzola, anziché dirigersi verso nord ovest, peraltro proprio dirimpetto a quel "monti Campiani" dove aveva minacciato di occultare il cadavere della donna».
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