Lega Nord, «200mila euro alla famiglia Bossi»

L'ex tesoriere Belsito ne avrebbe fatti arrivare altri 300mila anche a Rosi Mauro e al sindacato padano.
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Non sarà stato lo scrigno dei segreti ma, secondo i magistrati napoletani, i documenti che conservava sono «utili all'indagine». Grazie anche al via libera della Lega Nord, le procure milanese e partenopea, che insieme a quella di Reggio Calabria stanno indagando sulla gestione economica del partito di Bossi, in poche ore hanno ottenuto dal presidente di Montecitorio Gianfranco Fini l'autorizzazione ad aprire la cassaforte del tesoriere (dimissionario) del Carroccio, Francesco Belsito, custodita in un ufficio della Camera. Lo stesso Belsito, martedì, aveva consegnato la chiave agli inquirenti. Ieri è stato il giorno della ricerca di nuovi riscontri alle accuse e dell'incrocio delle testimonianze.

Secondo quanto pubblicato ieri dal sito online del quotidiano «La Repubblica», l'ex tesoriere della Lega avrebbe prelevato dalle casse del partito oltre 200mila euro per le spese personali dei figli di Umberto Bossi: risulterebbe dagli atti dell'indagine. E sempre dalle carte dell'inchiesta, risulterebbe che Belsito avrebbe prelevato dalle casse della Lega tra i 200 e i 300 mila euro per le spese del SinPa, il sindacato padano fondato da Rosi Mauro.

Da martedì sera, nelle stanze del palazzo di giustizia di Milano, i magistrati di casa e gli ospiti di Napoli e Reggio Calabria si sono «scambiati» i posti davanti ai testimoni, in particolare alla segretaria di Umberto Bossi, Daniela Cantamessa, e a Nadia Dagrada, dirigente amministrativo e responsabile del settore gadget della Lega. Dagrada ha detto di essersi limitata a raccogliere le fatture e a tenere la contabilità e ha spiegato che la cassa era nella disponibilità di Belsito, e lei doveva occuparsi solo dei giustificativi delle spese in un contesto, la segreteria della Lega, dove passavano molte carte, non solo quelle relative ai rimborsi elettorali.

Figura centrale delle tre inchieste è l'ex tesoriere Belsito, accusato, fra l'altro, di riciclaggio, appropriazione indebita, truffa ai danni dello Stato. Ieri il suo difensore, l'avvocato Paolo Scovazzi, lo ha definito «tranquillo, anche se è molto giù. Ma non si dà per vinto in quanto è molto combattivo». L'attenzione delle procure si sta concentrando anche su alcune iniziative economiche fatte da Belsito con società di imprenditori a lui legati e sul trasferimento in Tanzania e a Cipro di fondi della Lega - si parla di sei milioni di euro - nel quale risulta coinvolto un personaggio legato alla 'ndrangheta. Si tratta di Romolo Girardelli che ieri, in un'intervista, ha detto di non aver «segreti» e di non conoscere «gli affari di Belsito».

I magistrati sospettano però che i fondi possano essere stati utilizzati, fra l'altro, per ristrutturare la casa di Bossi a Gemonio e per finanziare la campagna elettorale regionale di suo figlio Renzo; un capitolo riguarderebbe anche, come si è visto, la vicepresidente del Senato Rosi Mauro. Gli interessati hanno smentito: Bossi jr si è detto «sereno». «Non ho mai preso soldi dalla Lega, nè in campagna elettorale e neppure adesso da consigliere regionale», ha spiegato (si veda al riguardo altro articolo a pagina 3, ndr). Categorica Rosi Mauro, la pasionaria: «Le accuse nei miei confronti sono del tutto infondate». I magistrati, però, vanno avanti e si dicono «fiduciosi».

«Capire il sistema non sarà agevole - ha spiegato il pm della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo - anche se confidiamo in risultati rapidi». I primi potrebbero arrivare dalla cassaforte. Come pare suggerire il procuratore aggiunto di Napoli, Francesco Greco: è stata trovata documentazione contabile, ha detto, «che si presenta utile al prosieguo dell'indagine».

È stato poi sentito l'avv. Bruno Mafrici, calabrese trapiantato a Milano, dove ha lo studio, uno dei personaggi chiave dell'indagine incentrata su Belsito. Ad interrogarlo il pm della Dda reggina Giuseppe Lombardo, il cui obiettivo è ricostruire i rapporti con Romolo Girardelli, e con l'ex tesoriere della Lega Nord. L'ipotesi investigativa della Dda, è che Girardelli, grazie ai rapporti con Belsito, Mafrici, l'imprenditore veneto Stefano Bonet e Paolo Scala, considerato il promotore finanziario di fiducia del gruppo Bonet, abbia riciclato il denaro provento delle attività illecite della 'ndrangheta. Ossia della cosca dei De Stefano, radicata in Lombardia da quarant'anni che per gli inquirenti ha superato da tempo lo stereotipo dei rituali per concentrarsi sugli affari, ma soprattutto sull'accaparramento del potere che dà il controllo su affari e denaro..

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