Le flessioni di Al Bano e le spine di Blanco
Ogni sera ho resistito alla grande fino a dieci e mezza, poi la palpebra si faceva pesante fino al cedimento, improssivi risvegli dopo mezzanotte, una volta mentre c’era in onda Fiorello quindi era già quasi mattina.
Non resisto a Sanremo, perché anno dopo anno, decennio dopo decennio mette in scena il peggio di noi, e questo non può che farmi tenerezza. Prendete Blanco, le immagini di lui che fa volare le rose a calci sono già nella storia del festival, surrealismo puro. Siccome, citando Fabrizio De André, non amo essere tra quelli che danno buoni consigli perché non possono più dare il cattivo esempio, se fossi stato chiamato a difenderlo di fronte al Codacons (perché quelli giudicano e pontificano su tutto e tutti) avrei chiesto il minimo della pena, in fondo quelle erano rose recise, già destinate al cassone del verde il giorno dopo, un po’ come la differenza che passa tra prendere a sberle una bistecca e una mucca: non è la stessa cosa.
Ma a Sanremo il nulla è oggetto di discussione, e così il non pensiero che fa cassa di Fedez anima la politica, segno che la situazione è tragica ma non seria; il temino di seconda elementare di sua moglie Chiara Ferragni (che avrebbe preso l’insufficienza anche con la più clemente delle maestre) diventa manifesto delle donne che hanno fatto i soldi senza doversi giustificare, che lei si sia giustificata facendosi pagare è il segno del declino del nostro tempo.
Io invece sto con Al Bano che a ottant’anni ha fatto le flessioni su quel palco che calca da mezzo secolo. Perché Sanremo è Sanremo, ma la vita reale è tutt’altra cosa.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato