L'Aquila, rinascita inesistente a 3 anni dal sisma
La ricostruzione è ferma, tonnellate di macerie sono ancora lì, una selva di tubi sostiene palazzi, chiese e fontane. A tre anni dal terremoto questo è lo scenario all'Aquila e nei 56 borghi del cratere sismico. La popolazione vive nelle periferie, il lavoro manca, il disagio sociale raggiunge livelli allarmanti: aumentano depressione e suicidi, consumo di alcol e psicofarmaci, obesità.
I lavori di ristrutturazione sono cominciati solo in alcune periferie o nelle campagne, dove si è peraltro costruito ad alto impatto ambientale, modificando la tipicità e i colori dell'abitato, dando un altro colpo alla vocazione turistica del territorio. Nei centri storici i lavori sono fermi alla primissima messa in sicurezza; in alcuni casi non c'è stata neanche quella.
Solo dentro le mura dell'Aquila sono da ricostruire 177 ettari di centro storico, che si aggiungono ai 403 delle frazioni. E questo senza considerare gli altri Comuni del cratere. «Siamo stati abbandonati per due anni. Tremonti ha impedito di fare qualsiasi cosa per L'Aquila - dice il sindaco Massimo Cialente -. Con Monti, e con il grande lavoro del ministro Barca, è cominciato invece un nuovo corso. Ed è tornato un pò di ottimismo».
La vita non è più nei centri storici, dove era fino a prima del 6 aprile 2009. Oggi, solo all'Aquila, su una popolazione di oltre 72 mila residenti, 21.731 vivono ancora in alloggi a carico dello Stato.
Oltre 7 mila persone abitano nei Map (Moduli Abitativi Provvisori, ossia le casette di legno), 573 nelle case in affitto concordato con la Protezione Civile, 630 attraverso il fondo immobiliare. Ci sono ancora 314 persone in albergo e nella caserma della Guardia di Finanza. Ma il grosso, quasi 13 mila cittadini, si trova nel Progetto Case, le 19 cosiddette «new town» fatte costruire in tempi record da Berlusconi, con cantieri aperti giorno e notte, costate 2.700 euro al mq. Sono dislocate su un asse lungo decine e decine di chilometri intorno all'Aquila e, anche per questo, non sono pochi i problemi ricaduti sul Comune per costi (dal trasporto pubblico alla nettezza urbana) e manutenzione. Una cittadina artificiale è stata costruita nei pressi di Assergi, nel cuore del Parco del Gran Sasso: è priva di servizi e per fare la spesa gli abitanti sono costretti a prendere l'automobile e imboccare addirittura l'autostrada.
Ma la perdita della casa non è il solo dramma. Gli effetti del terremoto si sommano alla generale crisi economica e il risultato è il collasso. Aziende piccole e medie chiudono, fanno fatica ad andare avanti i pochi locali che hanno riaperto nel centro disabitato dell'Aquila, dove gli unici passanti sono i «turisti delle macerie» o qualche aquilano nostalgico: perchè le case, gli uffici, i luoghi della cultura e del ritrovo non ci sono più. Vivere nel post-terremoto è impresa difficile, a tal punto che all'Aquila si parla di aumento dei suicidi, anche se non sono disponibili ancora dati ufficiali. A risentire di più del disagio sono i giovani (che oggi si ritrovano nei centri commerciali) e gli anziani, spesso isolati nelle new town.
A riportare fiducia c'è adesso il lavoro del ministro Fabrizio Barca, definito da Monti «inviato speciale» all'Aquila. Al Forum del 16 e 17 marzo all'Aquila, Barca ha evidenziato i 5 pilastri su cui d'ora in poi agire: comunicazione, informazione, semplificazione, programmazione e rigore. E partecipazione dei cittadini alle scelte della ricostruzione. La rinascita, però, resta lontana.
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