Lacrime e cicoria con il Grande Puffo
Prima una, poi un’altra e un’altra ancora. È stata una settimana molto difficile per la mia cicoria. Mi avrà lasciato un’altra piantina? Questa la mesta domanda che si palesava nella mente a ogni angosciante risveglio. Bastava poi un rapido sopralluogo nell’orto per rendermi conto che sì, l’ennesima cicoria si era accasciata a terra inesorabilmente incamminata verso l’insecchimento. È stata una prova molto dura.
All’apice dello sconforto mi sono seduto rannicchiato con le braccia a cingermi le gambe e gli occhi inumiditi dalle lacrime. In quel momento si è palesata mia nonna (diventata nel frattempo bisnonna, ma non per miei meriti sia chiaro) che ha sentenziato: sono le seccarole, mangiano le radici e le piantine muoiono. Le seccarole? chiedo, non mi sembra un nome molto scientifico. Fai poco il professorino e trova la soluzione, la risposta. Sono rimasto di ghiaccio. Ma di un ghiaccio elegante, come quello che va di moda oggi.
Sostituite sul bancone le uova sode e le acciughe con miniporzioni di pasta all’amatriciana e brandelli di mortadella biologica su crostini tostati, ecco la nuova finezza per appagare il sempre più esigente popolo dell’aperitivo: i cubetti di ghiaccio di lusso. I più ambiti sono quelli dall’aspetto irregolare, come fossero stati scheggiati da un grosso blocco con il rompighiaccio.
Negli anni Ottanta, sulla scia del successo televisivo, arrivarono i Puffoghiaccioli, di diverso avevano solo la forma e, ovviamente, il costo. Gli anziani saggi continuavano a leccare ghiaccioli da 100 lire, noi bambini baldanzosi il Grande Puffo all’anice da 300 lire. Eravamo già destinati ad annegare nel pirlo.
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