La voglia di pedalare, da Brescia fino a Parigi
Arrivare a Parigi in bicicletta. Un'esperienza unica, che un gruppo di nostri lettori ci ha voluto raccontare facendo un "diario di giornata". Noi ve lo proponiamo, insieme ad una fotogallery.
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Un caro amico ama ricordare che l’ultimo pieno di un viaggio è solo il primo di quello successivo. L’idea di raggiungere Parigi in bicicletta in effetti era maturata più o meno così.
Un anno fa. Treno di ritorno da Cortona, nostro primo traguardo cicloturistico ma già con la testa proiettata in avanti anni luce. Quattro colleghi, quattro amici, ciclisti improvvisati che mai si erano avventurati in percorsi superiori alle due ore, stavano pensando di raggiungere una meta discretamente ambiziosa. Potenza della fantasia.
Un anno passa in fretta e più che ricordarcelo non facciamo altro. Un momento d’incertezza quando Federico si lascia intimidire da una collega veggente che sconsiglia questo viaggio ma poi, pensando alla Samarcanda di Vecchioni e all’ineluttabilità del destino, proseguiamo nell’intento più che nel progetto visto che la nostra preparazione è del tutto simile a quella che faremmo se dovessimo organizzare un pic-nic dietro casa.
17 maggio 2013
Il giorno fissato per la partenza da Brescia diluvia. Nessuna voglia di attraversare la pianura padana in queste condizioni. Testa o croce? Vette dell’improvvisazione… Mattinata a guardare il cielo, a pensare di raggiungere il confine con un mezzo a motore. Due siti meteo che danno consigli diametralmente opposti, in sintonia con i desideri di chi li consulta. Due opzioni: camper fino a Domodossola e poi verso Parigi oppure arrivare a Ventimiglia e poi pedalare fino a Barcellona.
Non c’è accordo. Testa o croce? Cinquanta centesimi che roteano nell’aria carichi di desideri…Testa, Parigi, la nostra Samarcanda! Stiamo arrivando!
Raggiungiamo quindi Domodossola, città che per noi ha sempre suscitato interesse solo in funzione del suo ruolo nello spelling nazionale, trovando alloggio in un b&b grazie alla gentilezza di un ristoratore che ci ha poi fornito una cena degna di nota. La tavola, come sempre, è collante per chi vi siede intorno e ne approfittiamo per introdurre i due nuovi elementi del gruppo: Danilo, motociclista mutuato temporaneamente al ciclismo onorando così lo spirito iniziale e Dario, collega ormai in pensione ma che ha nelle gambe dodicimila chilometri all’anno in bicicletta.
Su un clavicembalo fa bella mostra di sé uno spartito musicale della nostra Samarcanda, ulteriore segnale che la direzione presa era l’unica possibile.
18 maggio 2013
Notte di pioggia, leggera ma incessante. Sveglia all’alba e colazione abbondante con un occhio fuori dalla finestra. Ci copriamo dalla testa ai piedi per cercare di limitare i danni e ci tuffiamo lungo la discesa che conduce alla statale.
Cinque chilometri ci separano dalla stazione e come sempre, essendo in ritardo sulla tabella di marcia, ci troviamo a percorrerli con la paura di non arrivare in tempo. Fortunatamente la puntualità svizzera questa volta fa acqua e ci permette di accomodarci sulla banchina con tutta calma tra la curiosità e la gioiosa ilarità degli altri passeggeri.
Quando vengono a sapere della nostra destinazione, dopo un primo momento di incredulità ci bollano semplicemente come matti!
Il tunnel del Sempione ci proietta sull’altro versante in una ventina di minuti e da lì muoviamo le nostre ruote. Finalmente si pedala.
I primi colpi riempiono i polmoni di passione e benessere e la pioggia battente, inizialmente, scivola sulle protezioni e sulle nostre menti, convalidando le nostre teorie sul fatto che è tutto una questione di testa.
Ripenso ai giorni precedenti la partenza ed allo stupore da parte di qualsiasi persona rispetto all’assenza di qualsivoglia preparazione atletica anche di fronte all’evidenza dei miei addominali racchiusi in un carapace rovesciato! Eppure son sempre più convinto che questo viaggio sia veramente alla portata di chiunque.
La pioggia è incessante ma la Svizzera si rivela una terra splendida per pedalare. Siamo quasi sempre su ciclabili alternative circondate da alte vette innevate. Ma quando ci troviamo a dover percorrere dei tratti di provinciale, laddove manca una sezione ciclabile comoda per due, non ci sentiamo mai veramente in pericolo.
L’anno scorso, sulla Cassia, camion e auto giocavano a sfiorarci. Qui se non riescono ad avere almeno due metri di distanza da noi evitano assolutamente di passare restando in coda fino alla prima possibilità che si rivela anche occasione di saluto invece che di insulto.
La fredda pioggia ormai ha aperto la sua strada verso mani e piedi e così un po’ si soffre, ma nonostante questo riusciamo a mantenere il nostro programma: due sole soste tra mattino e pomeriggio oltre alla pausa pranzo che si rivela occasione per disquisire sui prezzi non proprio popolari di questo paese.
Danilo e Dario si svelano ottimi commensali e compagni di viaggio. Il secondo, anagraficamente più anziano di tutti ma non spiritualmente, incoraggia alla marcia in qualsiasi condizione, dispensando anche consigli tecnici assolutamente graditi. Un po’ meno ciclista per caso, insomma.
La sera giunge presto e la stanchezza inizia a farsi sentire.
Sospinti da applausi e incoraggiamenti dei passanti (oltre che al classico gesto del “voisietematti”!!!) giungiamo alle porte di Villeneuve ed iniziamo la ricerca di un alloggio.
Troviamo da farci spennare in un grazioso albergo che si affaccia sul lago. Va bene tutto pur di poterci fare una doccia bollente, ma domani dobbiamo assolutamente fuggire da questo buco nero da portafogli e afferrare la nostra terra di conquista. France, a nous!
19 maggio 2013
L’inglese to travel (viaggiare) ha la stessa radice del francese travail (lavoro). E’ stato detto molte volte, ma ci piace ricordarlo. Ricordare come il viaggiare sia una fatica. Quella di ieri, sotto la pioggia continua e quella di oggi su salite che sembrano non voler finire mai.
La giornata è iniziata nel migliore dei modi con una lama di luce che penetra attraverso la finestra.
Dopo aver dato fondo alla petit dèjeuner dell’albergo, dirigiamo le nostre fedeli verso Losanna, costeggiando un lago che incanta ad ogni curva. Il sole ci scalda asciugando anche gli ultimi indumenti. Pedalare in queste condizioni mette decisamente di buon umore e ci fa subito dimenticare l’esperienza del giorno prima.
Avevamo calcolato una distanza superiore per Losanna, invece arriviamo alle sue porte talmente rapidamente da illuderci sulle nostre possibilità giornaliere. Da lì iniziamo a salire su ripidi pendii che fanno crollare improvvisamente la nostra media oraria. Ma il silenzio in cui piombiamo, grazie alle poche auto che incontriamo, è l’occasione per tornare ad apprezzare le qualità del viaggiare lento. Riuscitre ad ascoltare i fraseggi degli uccelli, assorbire ogni profumo del bosco, sono emozioni ed esperienze che con altri mezzi andrebbero perse.
Mucche che seguono annoiate il nostro passaggio.
Dario spinge sui pedali con una disinvoltura imbarazzante pur con un mezzo che al massimo andrebbe bene per andare a prendere il giornale in paese mentre, io e Danilo arranchiamo con qualche difficoltà.
Alla fine arriviamo al gran premio della montagna posto a poco più di 1.200 metri con un ritardo di una quindicina di minuti. Da qui speriamo sia tutta discesa ed effettivamente la strada volge vero il basso, risucchiandoci a velocità da brividi. In un attimo arriviamo a superare gli ottanta orari permettendoci di coprire cinque chilometri in una manciata di secondi. Il problema della velocità in bicicletta è che poi devi anche fermarti e qualche grattacapo i nostri freni ce lo danno.
Pensavamo di aver esaurito la nostra dose di salite ma dopo la frontiera francese, che ci regala l’emozione di attraversare confini con le proprie forze, torniamo a puntare verso l’alto. Giungiamo a Pontarlier che ormai il cielo è plumbeo e lascia cadere qualche goccia di pioggia.
Iniziamo il balletto della ricerca di un alloggio dilaniati dalla tecnologia di Federico, che però ci lascia a piedi facendo esaurire la batteria del telefono, e la tradizione di Giosuè che con un francese intriso di dialetto bresciano, approccia due gentildonne locali ottenendo ben più che una semplice indicazione.
Il primo albergo della gioventù risulta pieno perché preso d’assalto da squadre dilettantistiche di ciclisti. Subito ci viene in aiuto un’altra signora che si prodiga per raccogliere altre indicazioni ed indirizzarci quasi a colpo sicuro. Siamo quasi commossi.
Finalmente troviamo un’altra sistemazione quando ormai siamo infreddoliti ed alla fine delle forze.
Cena in albergo e poi a crollare nei nostri letti. To travel e travail… In Italiano c’è travaglio, termine che associamo alla sofferenza del parto e che almeno si accompagna all’idea di una nascita o una rinascita.
20 maggio 2013
Disteso sotto le coperte il cuore batte all’impazzata. Eppure è il momento di riposarsi, di recuperar le energie per il giorno dopo. Quasi che la carica di emozioni prolunghi il suo sforzo a rivivere il vissuto. Un po’ come le biciclette che chilometro dopo chilometro accumulano terra, polvere e fatica.
Tutto resta lì a documentare, a raccontare una storia e ai francesi che incontriamo piacciono le storie.
Guardano le biciclette appoggiate al muro, mentre beviamo una birra ghiacciata, ed indicano, parlano tra loro, commentano fino a trovare il coraggio di chiedere.
Vogliono sapere chi siamo, da dove veniamo, quanta strada percorriamo…e poi tutti ad augurarci “bon courage” mentre, allontanandosi, sorridono.
Così come sorridono i mille volti che incrociamo.
Sono curiosi i francesi…curiosi e cordiali, caratteristiche che raramente ho riscontrato in passato.
Allora rifletti sul mezzo scelto, su quanta vicinanza possa creare.
Siamo improbabili come cicloturisti, improbabili e inadeguati: chi per la bici, chi per l’abbigliamento chi per le rotondità addominali. Evidentemente suscitiamo simpatia e fiducia altrimenti non si spiegherebbe come siamo riusciti a fermare un’auto in corsa sulla provinciale per chieder indicazioni!
Oggi qualche goccia di pioggia iniziale ma già in lontananza si intravvede qualche sprazzo d’azzurro. La fatica del giorno prima, dissolta ed i pedali iniziano a girare ad una velocità stupefacente.
Stiamo bene, nonostante temperature tutt’altro che primaverili e la strada scompare sotto le nostre ruote quasi senza accorgercene.
Per strada il deserto.Non un’anima. Man mano che scendiamo di quota il paesaggio si trasforma.
Costeggiamo foreste di altissimi abeti così fitte che ci aspettiamo di scorgere da un momento all’altro un villaggio gallico! Attraversiamo piccoli borghi dove il tempo sembra fermo a cinquecento anni fa, restando incantati a guardarne ogni angolo.
Tra i villaggi, chilometri di nulla a perdita d’occhio. Foreste e campi dove vagano placidi cavalli e bovini, unici spettatori di questa variegata carovana.
Profumi e silenzi interrotti dalla danza schioccante dei nostri cambi.
Su e giù, vento contrario…e quando siamo in difficoltà piazziamo davanti Dario a fare da tiro e noi tutti dietro a risucchiar la sua aria.
Sosta a Dole dove è in corso una festa popolare allietata da diversi gruppi musicali. Swing, Jazz, birra come acqua fresca e poi di nuovo sui pedali a volare sugli ultimi chilometri che ci separano da Dijone.
Freddo, brividi, voglia di una doccia bollente. Che ci scalda e ci porta via gli ultimi residui di energia.
La tavola imbandita è il vero momento defatigante: si ride, si scherza, ci unisce…Ah, la magia della bicicletta, del viaggio, delle difficoltà. Parigi è sempre più vicina!
21 maggio 2013
Ci son giorni che non vanno, che ti risucchiano tutte le energie e ti fan domandare se ne vale la pena. Sveglia presto come di consueto e giù a cercar l’equilibrio su gambe precarie fino al buffet del buongiorno.
Rileggiamo i passaggi della tappa precedente come a voler fissare le esperienze vissute e accozziamo un programma di massima del giorno che c’aspetta.
Da bravi italiani, oltre a dar fondo alle riserve mattutine dell’albergo, ci prepariamo un paio di panini a testa per la giornata, nascondendoli sotto la felpa. Carichi, pronti, via.
Le prime gocce di pioggia fanno capolino ma decidiamo di ignorarle.
Bastano però un paio di chilometri a farci capire che non è giornata! La pioggia diventa subito intensa e tutt’intorno non si vedono spiragli d’azzurro.
Intabarrati come Totò a Milano (di cui Giosuè è la massima espressione) avanziamo con fatica, complice anche il vento che inizia a soffiare in direzione contraria e alla comparsa dei primi dolori articolari.
La città è deserta. Negozi e scuole chiuse e solo un paio di persone che camminano per strada augurandoci “bonne route”.
Subito ci ritroviamo nell’immensa campagna della Borgogna. Si continua a salire e l’acqua è riuscita a trovare i suoi varchi fino ai piedi. Il vento gelido fa il resto anestetizzando le estremità. Intorno a noi, nessuno.
Attraversiamo piccoli borghi completamente inanimati. Sembra di precipitare indietro di settant’anni e, forse complice la stanchezza, riusciamo a scorgere le sagome dei soldati della resistenza francese tra le mura scrostate degli edifici.
Il tempo passa ma non i chilometri che diventano sempre più pesanti. Ognuno affronta il momento come può: chi canta a squarciagola, chi scatta con piglio degno di un velocista, chi racconta degli strateghi francesi della seconda guerra mondiale riesumando nozioni liceali.
In cima all’ultima salita trovo Dario e Giorgio che m’aspettano con una bandiera francese trovata sotto un capanno. Ci ripariamo in attesa di ricompattare il gruppo e scattiamo foto demenziali.
Dopo le salite arrivano inesorabilmente le discese ed oggi non sono affatto benedette. Scendere a quaranta, cinquanta orari irrigidisce le dita che faticano a stringere i freni e fa battere i denti.
In fondo ad una piccola valle entriamo in un paesino assolutamente deserto nella speranza di trovare un bar sport. Silenzio, tutto è immobile.
Insegna di albergo. Ombre che si muovono dietro una vetrata. Entriamo con l’evidente aspetto di chi è pronto a tutto. Il titolare è visibilmente sollevato quando chiediamo sei tazze di tè bollente.
Ancora una volta sperimentiamo la gentilezza francese. Ci prende i vestiti zuppi per appoggiarli sui termosifoni e sopperisce alla mancanza di una torta con deliziosi biscotti al burro. Ci apre una cartina della zona e guarda con noi il percorso che ci resta da affrontare infondendoci un po’ di coraggio. Una volta scongelati ci congediamo a fatica da questo angolo di paradiso dalle cui cucine esce un profumo di sugo della nonna.
Alla prima salita Federico resta indietro di alcuni minuti e quando ci raggiunge è visibilmente stremato e sofferente per un problema al cambio.
Già ieri avevamo dovuto sostare per più di mezz’ora a causa della catena deragliata per una cambiata troppo potente. Evidentemente ha lasciato strascichi al punto che ora non riesce più ad inserire il rapporto corretto per avanzare. Samarcanda si avvicina.
Proseguiamo a testa bassa senza godere del paesaggio. Eppure quanto dev’essere incantevole questa zona con un clima più favorevole?
Danilo ha gambe violacee, Dario ha smesso di raccontar barzellette, i sorrisi sono scomparsi dai nostri volti.
Vorremmo mangiare ma non troviamo alcunché. Tornano utili i panini del mattino sottratti all’albergo che, seppur consumati sotto la pioggia, ci danno un po’ di conforto.
Siamo stanchi, stremati ed infreddoliti. Decidiamo quindi di fermarci al primo albergo disponibile nonostante ci siano ancora diverse ore di luce.
Giorgio ci prende in parola e come un toro vede rosso, appena scorge l’insegna di un albergo (dall’aspetto un po’ retrò) si fionda all’interno a chieder conforto.
Il locandiere ci accompagna a veder le stanze ed io e Giorgio fatichiamo a rattenere una risata… Il bagno è DENTRO la stanza. Una tendina divide la zona letto da un water ed un box doccia estrapolato da un camper anni settanta. La situazione è così grottesca che ridiamo per diversi minuti e non c’è niente di meglio di una risata per dimenticare la fatica e tornare ad essere ottimisti.
Volti stanchi ma distesi. Si continua a progettare. Ci son giorni che non vanno…ma si raddrizzano con un nulla!
22 maggio 2013
Viaggiare con due medici ha anche il suo lato positivo. Sono fonte autorevole di saggezza sanitaria e fugano ogni dubbio sui comportamenti da tenere.
Nei giorni scorsi ho sofferto per un dolore continuo alle ginocchia. Avrei voluto un antidolorifico, ma sia Federico sia Giosuè me l’hanno sconsigliato vivamente in quanto, coprendo il dolore, rischierei di forzare eccessivamente.
Il corpo manda dei segnali che è bene ascoltare! Mi accontento quindi di un po’ di ghiaccio e di un massaggio serale. L’albergo di Chatillon sur Seine offre una colazione coerente con la sua struttura. Fuori il cielo è ancora completamente coperto ma almeno sembra non piovere.
Parole, chiacchiere, risate.
Federico deve risolvere il problema al suo cambio. Pertanto decide di avviarsi verso un negozio di articoli sportivi sito sulla nostra strada.
Un attimo prima di alzarsi da tavola si avvicina furtivo a Giosuè sibilando tra i denti:” Portami un altro Aulin che mi fanno ancora male le ginocchia”.
Lo guardo…s’accorge…sfodera un sorriso adolescenziale, come se l’avessi sorpreso con le mani nella marmellata! Butto giù una tachipirina e volo a vestirmi.
Io e Giorgio siamo gli ultimi a lasciare l’alloggio e una volta coperti raggiungiamo gi altri che aspettano l’apertura dello “Sport 2000”. Nel frattempo Federico è riuscito a sistemare in qualche modo il deragliatore: quantomeno in pianura avrà una velocità soddisfacente. Approfittiamo della sosta ed integriamo la nostra dotazione antipioggia con guanti caldi e sovrascarpe. Torniamo a pedalare.
Giorni continui di pioggia. Il morale è comunque alto al punto che intoniamo a squarciagola un “Oh sole mio” mentre procediamo in fila indiana.
Colazione scarsa e il calo di zuccheri avviene in concomitanza con il passaggio davanti ad una boulangerie. Pinzata ai freni e saccheggio delle vetrinette. Dolce e salato che scompaiono nelle nostre fauci nel giro di qualche istante! Procediamo a velocità sostenuta arrivando alle porte di Troyes in leggero anticipo sui tempi previsti.
La mattina eravamo stati chiari : ”Non dobbiamo assolutamente fermarci due ore per il pranzo”-“Chiaro, certo, ci mancherebbe!”, era stato il coro di risposta… Non appena dalla superstrada abbiamo intravisto l’insegna di un Grill, non abbiamo esitato un secondo a decidere di fermarci per una bistecca calda, al caldo.
Siamo inguardabili. Sporchi di fango e grondanti d’acqua da tutte le parti.
Decidiamo la tattica: spogliamoci del peggio ed entriamo con disinvolta noncuranza, occupando il primo tavolo libero. Una volta seduti non oseranno cacciarci?!
Ancora una volta non abbiamo fatto i conti con la curiosità e la cortesia francese che, oltre ad accoglierci a braccia aperte, vuol conoscere la nostra storia. “Sono pazzi questi italiani”, dice ridendo il titolare.
Scaldati e rifocillati usciamo dal locale con una cartina della zona regalataci da un cameriere. Dobbiamo attraversare in linea retta la città ma lo stupore di trovarci in un altro tempo ci fa procedere zigzagando tra i vicoli col naso rivolto all’insù.
Palazzi che non t’aspetti, vecchi di secoli, conservati e restaurati. Intrecci di legni, pareti dalle geometrie improbabili. Ci risvegliamo dal torpore quando ci accorgiamo che la cartina si sta sciogliendo per l’acqua e che dobbiamo trovare la strada prima di perdere definitivamente l’orientamento.
L’amara sorpresa…non c’è alternativa a dover percorrere alcuni chilometri sul bordo di quella che appare a tutti gli effetti un’autostrada. Entriamo anche in una ex area di servizio di cui è rimasta solo l’impronta…e lo sgabbiotto del gestore. Apriamo la porta ed all’interno c’è un bancone e due persone che hanno l’aria di esser lì da anni. Null’altro!
Fatichiamo a capire il senso ma l’importante è che ci diano conferme sulla direzione. Finalmente, dopo una decina di chilometri, un incrocio assassino ci immette su una strada di campagna che punta verso Parigi.
Tutto diventa silenzio. Acqua, freddo, il vento che frena. Dolci salite, pochi pianori e qualche discesa. Iniziamo a sentire la fatica e il gruppo si sgrana.
Sono le sette passate quando entriamo a Nogent sur Seine. Circa venti chilometri prima della tappa prevista. Va bene così. Questa volta Giorgio è dispensato dalla ricerca di un albergo ma vuol comunque metterci del suo.
Ci viene in soccorso uno sconosciuto che, intuiti i nostri bisogni, ci indirizza verso un alloggio dignitoso.
Rigenerati, guardiamo la carta: un centinaio alla meta. Domani, cascasse il mondo, non ci fermeremo due ore a pranzo! “Chiaro, certo, ci mancherebbe!”
23 maggio 2013
Sento le forze che m’abbandonano nel momento esatto in cui il treno chiude le porte e si avvia in direzione di Losanna. Sveniamo tutti in contemporanea. Mercoledì mattina la sveglia di Nogent suona presto. Tutti in piedi carichi di positività e con la voglia di toccare il suolo parigino.
Uno sguardo al tempo che, seppur coperto, ci regala un asfalto asciutto ed una leggera brezza.
Pieno d’energia e via a ghiacciare quasi all’istante grazie a temperature a dir poco autunnali! Il freddo non avvizzisce l’entusiasmo consapevoli che i chilometri rimasti sono veramente alla nostra portata.
Si pedala bene, nonostante ginocchia e caviglie si facciano sentire pur se sopite chimicamente. La strada sembra regalarci una tregua dalle sue salite ma sarà solo per poco. Dario, felicissimo dell’esperienza per lui nuova, è una raffica continua di battute che ci fanno ridere a crepapelle. Godiamo del silenzio della campagna nonostante un traffico leggermente più sostenuto dei giorni scorsi restando stupefatti del paesaggio. E’ come se percorrendo una provinciale tra Bergamo e Milano non riuscissimo a veder nulla se non campi coltivati.
Si squarcia il cielo di nubi lasciando trasparire un po’ d’azzurro. I primi timidi raggi di sole fanno capolino sulla nostra pelle riuscendo a scaldarci un po’. I colori cambiano improvvisamente ravvivandosi man mano che l’azzurro aumenta.
Tolgo gli occhiali da sole: non voglio nessun filtro tra me e ciò che ci circonda. Voglio godermi ogni sfumatura di questi ultimi istanti. La strada scorre veloce e grazie ad un tempo finalmente clemente decidiamo di deviare leggermente dalla statale per entrare in un paesino a cercare un fornaio.
Troviamo un mercato e ancora una volta sembra di tornare indietro nel tempo. Conigli, anatre e polli…attrezzi agricoli e altro che da tempo non vedevamo. Ma una cosa stupisce su tutte: il silenzio. Abituati alle urla ed alle confusioni di quelli nostrani questo mercato ci spiazza un po’.
Seguiamo a ritroso il percorso di persone che camminano con baguette in mano e troviamo una boulangerie riccamente fornita…per poco!
Mentre scegliamo, si forma una discreta coda alle nostre spalle senza che nessuno mostri segni d’impazienza. Potremmo sfamare un esercito ma basteranno pochi minuti per non lasciar traccia alcuna. Una bambina cammina tenendo per mano il suo papà. E’ biondissima e ci guarda con grandi occhi azzurri carichi di allegria. Una voce come un filo di seta: “Bonne promenade”-“Come tesoro?” – “Bonne promenade”, ripete con un sorriso dolcissimo.
Lo stupore fa sì che il nostro grazie giunga quando ormai è troppo lontana per sentirlo. Piedi freddi, cuore caldo! Siamo a posto.
Parliamo, ci raccontiamo. Siamo stanchi ma elettrizzati all’idea dell’arrivo. L’abbiamo già scoperto l’anno scorso ma questi viaggi insegnano ad avere pazienza, a guadagnare lo spazio e il tempo poco per volta.
Ci avviciniamo alla meta e ancora nulla all’orizzonte. La strada continua a seguire il profilo delle colline. Probabilmente da noi un paio di viadotti e qualche galleria l’avrebbero fatti ma evidentemente i francesi riescono ad avere una cura maggiore delle risorse del territorio.
I cartelli indicatori diventano sempre più frequenti, i chilometri calano e aumenta l’emozione. Si canta. Chi in silenzio, chi ad alta voce…ma si canta!
Qualche dubbio sulla direzione da prendere e chiediamo a chi troviamo per strada. Curiosamente più ci avviciniamo e più troviamo incertezza nelle risposte ed alla fine ci arrangiamo con i nostri mezzi.
Inversamente invece i commenti si trasformano da “folli” a “coraggiosi” e i complimenti ci sospingono negli ultimi chilometri.
La Senna, che ci segue da alcuni giorni ingrossandosi ad ogni ansa, ora si palesa nella sua maestosità.
Siamo a Parigi, felicissimi ed anche un po’ increduli. Aspettiamo di trovare il cartello che indica l’inizio della metropoli per la foto di rito ma non riusciamo a trovarlo ed invece piombiamo alla Gare de Lyone per portarci avanti con i biglietti del treno di ritorno. Code chilometriche agli sportelli.
Al nostro turno una cortesissima hostess si fa in quattro per trovare una soluzione ottimale, ma alla fine dovremmo separarci in due gruppi di qualche ora. Va bene così.
Ora è il momento di trovare un albergo e poi via a vivere la città!
Il primo risulta completo… Poco male, era oltre la nostra portata. Proseguiamo ma anche i successivi non hanno stanze disponibili. In uno la receptionist, impietosita da occhi smarriti, effettua alcune ricerche sia su internet sia telefonicamente, ma senza fortuna. Inizia a diventare preoccupante. Nel frattempo passanti si fermano a chiedere notizie del viaggio ma non riusciamo a goderne perché preoccupati di quello che si sta delineando. Siamo stanchi, infreddoliti e avremmo bisogno di un bagno…e ovviamente inizia a piovere.
Decidiamo che è inutile girare a vuoto e facciamo quindi una serie di telefonate a degli alberghi presi da una cartina locale. La risposta è sempre la stessa. Scopriamo che ci sono delle fiere internazionali e pertanto non sarà facile trovare qualcosa. Attimo di smarrimento. Decidiamo che forse è il caso di riempire le pance. Voglio fare un ultimo tentativo. Lascio il gruppo ad un Buffalo grill e volo al quartiere latino a cercare una bettola. Federico, preso da un senso di responsabilità decide di seguirmi.
Giriamo tra vicoli colorati da cui escono mille voci diverse. Profumi, suoni, terre lontane e vicine.
Entriamo in ogni porta sotto un insegna al neon e ovunque troviamo completo. Via, al quartiere a luci rosse passando davanti ad una Notre Dame maestosa e misteriosa. Alberghi a tre, due, una stella. Alberghi senza stelle e senza speranze. La sicurezza di ritrovare le biciclette al mattino è quantomeno vaga. Entriamo comunque. Volti che celano storie non sempre a buon fine.
Danzando tra i vicoli precedo Federico che a un certo punto, complice l’umidità, la stanchezza e il buio, perde il controllo scivolando rovinosamente a terra. Mi giro. Neanche il tempo di rialzarsi che già un ragazzo si avvicina chiedendo se serve un’ambulanza. Ringraziamo e declinando decidiamo che è ora di rientrare.
Raggiungiamo gli altri che sono ad aspettarci sulla strada. Non c’è nulla da fare. Disperarsi non ha senso. In fondo si tratta di una notte. Torniamo al quartiere latino con l’intento di far passare un po’ di tempo. Fa freddo. Ci cambiamo in strada indossando vestiti più caldi di quelli da ciclista. Birretta e poi a visitare Parigi by night!
Torniamo davanti a Notre Dame per due scatti in compagnia e nel mentre un gruppetto d’amici ci passa accanto. Commentano in italiano guardando le nostre biciclette. Bergamaschi, milanesi ed emiliani a Parigi per lavoro. Ascoltano la nostra esperienza divertiti e ci immortalano in una foto ricordo.
Storie che si incontrano, storie che si intrecciano per un istante.
Fa freddo e la stanchezza si fa sentire. Dirigiamo quindi verso la stazione col miraggio di una sala d’aspetto se non calda quantomeno tiepida.
Miraggio destinato a rimanere tale. Una porta sbarrata chiud definitivamente le nostre speranze fuori all’addiaccio!
Cerchiamo un angolo vagamente riparato e diamo vita alla nostre notte da clochard. Cerate per terra a separar le nostre terga dal sudiciume di un selciato maltrattato. Corpi vicini a conservare calore. L’umore resta comunque alto riuscendo, ognuno di noi, a vedere un qualcosa di positivo anche in questa esperienza. Miracolo del viaggiar lento.
La mattina presto approfittiamo dei bagni della stazione ormai riaperta e decidiamo di dedicarci al turismo veloce. Foto sotto la torre, abbracci e pacche sulle spalle e…idee per il prossimo viaggio! Abbiamo voglia di tornare a casa ma la magia della strada è al di sopra di ogni cosa.
Il treno procede veloce.
Tappe a ritroso condensate in poche ore come a riavvolgere un film. Occhi chiusi a recuperar energie per il futuro.
Felici.
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