La voce di quello che non sopportiamo

È sempre la quantità a determinare il rifiuto, pertanto ognuno dovrebbe imparare ad ascoltarsi prima che il livello di guardia venga superato.
Il troppo stroppia in qualsiasi sua forma
Il troppo stroppia in qualsiasi sua forma
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Marika mi ha inviato un video che già dal titolo è tutto un programma. «Cosa può insegnarci la nausea?». Io le rispondo d’istinto e le chiedo se c’è qualcosa che l’ha disturbata. «Niente», ribatte lei, «era solo un concetto per conversare». L’argomento non è certo un classico e il link mi rimanda a un incontro pubblico di Paolo Crepet.

Lui, il guru occidentale moderno con la sua tipica «calata» veneta, i capelli sbiancati nei quali si passa le dita con frequenza mentre racconta di quella volta in cui suo padre gli spiegò che ci si può stancare di tutto, perfino del cioccolato. In realtà accade proprio il contrario, è infatti il troppo che stroppia e alla lunga anche una leccornia può finire con lo stomacare. Sembra infatti che nelle pasticcerie per arginare il naturale desidero dei commessi di mangiare dolci, venga loro consentito di abbuffarsi fino al punto di provare un tale senso di disgusto da evitare qualsiasi assaggio mentre preparano torte e bignè.

Però per capire la nausea non servono troppi chiarimenti, ognuno ha un’idea precisa da dove parte la propria e fin dove arriva. A volte si prova all’improvviso, presi da una sensazione di troppo pieno che si incolla addosso con lentezza e produce un senso di avversione verso un qualcosa, che non è necessariamente riferibile a un cibo o a uno sgradevole odore. Volendo si può trovare un parallelismo fra la nausea data dall’eccesso di cioccolato con quella che a volte si prova in altre situazioni. È sempre la quantità a determinare il rifiuto, pertanto ognuno dovrebbe imparare ad ascoltarsi prima che il livello di guardia venga superato.

Di nausea non si muore ma di certo non si vive bene. Lo dice il numero dei ragazzi che sentono lo stomaco in bocca ogni volta che varcano il portone della scuola. Lo dice il numero degli adulti che detestano l’ambiente di lavoro e finiscono per identificarsi con il loro malessere. Bisognerebbe tentare di cambiare il paradigma e considerare il disagio interiore come una spinta a reagire contro quello che non ci piace. Dovrebbe essere benedetta come l’insofferenza che invoglia a cercare nuovi modelli a cui ispirarsi. Ognuno ha in sé la forza di modificare tutto. Infatti la nausea ha sempre la voce di quello che non sopportiamo. Chissà se questo è l’insegnamento a cui si riferisce Paolo Crepet.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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