La vera intelligenza si vede in mensa
Il Mensa è un’associazione unica nel suo genere ma in Italia è piuttosto sconosciuta. Per farne parte non serve la lettera di presentazione di un socio e neppure il pagamento di una cospicua quota annuale.
Le raccomandazioni per accedere a questa élite composta dal 2 per cento della popolazione mondiale sono totalmente inutili, la porta viene aperta solo dalla casualità benigna della natura. Il termine «mensiano» deriva da mensa nome latino della tavola, lo acquisiscono le persone che raggiungono o superano il 98° percentile del QI, ottenendo il punteggio minimo di 148 misurato da parametri specifici per definire il quoziente intellettivo.
Il Mensa ovvero il «The High QI Society», nato a Oxford nel 1946, composto da persone provenienti da ogni ambiente sociale, si fonda su un concetto di uguaglianza, lo stesso per il quale il Re Artù fece costruire una tavola rotonda affinché tutti i cavalieri godessero di pari dignità, qualunque fosse il posto occupato. La finalità forse trascurata di indirizzare il talento dei membri in favore della collettività ha fatto dire al fondatore Lancelot Ware: «sono un po’ deluso per il fatto che alcuni mensiani spendano tanto tempo per risolvere enigmi e puzzle».
Credo che gli oltre 1500 iscritti al Mensa italiano siano sicuramente impegnati, la cifra significativa è rappresentata anche dal numero di donne aderenti e dalla presidente Elsa Di Fonzo, che riempirebbe di orgoglio il genere femminile se fosse noto. La grazia derivata dall’intelligenza è un dono, ma per alcuni l’inevitabile sensibilità che l’accompagna diventa sofferenza e si tramuta nella difficoltà di relazione. Oggi il dantesco «ben dell’intelletto» non è associato a Dio ma ai Nerd, giovani molto dotati e spesso isolati perché considerati stravaganti.
La società dovrebbe valorizzare e sostenere queste menti brillanti, affinché il loro talento possa essere indirizzato al bene comune. Tuttavia solo una piccola parte dei mensiani riescono a ottenere incarichi congruenti alle loro capacità. Non bisogna essere come Einstein per accorgersi che sulla tavola delle «scimmie nude» c’è un unico piatto e i cucchiai a disposizione sono troppo lunghi per portarli alla bocca. Solo imboccandoci a vicenda potremo ricevere tutti la razione che ci spetta, poiché l’evoluzione umana procede inevitabilmente attraverso la cooperazione solidale. Non si vive di solo pane, i veri intelligenti lo hanno capito da un pezzo.
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