La teoria della Mucca Viola e i giovani

Una nuova riflessione di Augusta Amolini sul mondo del lavoro e sui nostri figli affamati di futuro
Una mucca viola
Una mucca viola
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I modelli del nuovo mondo «senza centro» comunicano l’idea che il requisito indispensabile al successo sia l’unicità. Il concetto è stato espresso dallo scrittore-imprenditore Seth Godin, il quale viaggiando nella campagna bretone fu colpito dalla quantità di mucche che pascolavano. Immaginò che se una fosse stata di colore viola avrebbe catalizzato l’attenzione generale.

Tradusse la sua osservazione nella teoria della Mucca Viola (Purple Cow), divenuta una sorta di «Vangelo apocrifo» per gli analisti delle tecniche di mercato. Egli sosteneva che «solo lo straordinario emerge dal normale, dal consueto e che, di conseguenza, fa parlare di se, quindi ciò che suscita interesse».

Queste parole descrivono il nostro «mondo plurale», composto da milioni di individui che popolano il Web alla ricerca del loro «Graal» virtuale. Nella vita concreta non è cambiato nulla, ne sono consapevoli i nostri figli che espatriano con la speranza cucita nel cuore, sorretti da uno spicchio di coraggio e dalla fiducia riposta nello studio. I veri protagonisti di questo «affioramento» sono i giovani affamati di futuro, i quali avendo una percezione globalizzata del lavoro riescono ancora a credere nel capitale umano. Sono uomini e donne resilienti, resi duttili dal bisogno, che hanno trasformato in diamante l’unico pezzo di carbone di cui disponevano.

La difficoltà di arrivare in superficie impatta spesso con una realtà di mercato feroce, alimentata dalle aspettative di quanti dopo aver faticosamente conquistato il famoso «pezzo di carta» offrono le loro competenze ottenendo in cambio un impiego gratuito o sottopagato. Troppi vengono sostenuti economicamente dai genitori per poter acquisire esperienze senza le quali non saranno mai assunti. Paradossalmente quando ne avranno maturate troppe verranno accantonati perché dovranno essere retribuiti in base alle stesse.

Il giudizio di questi «lavoratori postulanti» viene sottoposto anche al filtro delle loro pubblicazioni sui social. Per i valutatori di risorse umane le immagini e i testi rappresentano un vero test di ammissione, la bilancia di una credibilità personale che pesa più dei crediti e dei Master indicati sul curriculum vitae. Ravvedersi servirà a poco, raramente la costosa pulizia dei dati restituirà verginità alla Web reputation. La quotidianità connessa quando emerge attraverso contenuti pregiudicanti può tranciare il futuro. Si potrà trovare solo una magra consolazione nel proverbio turco: «quando l’ascia entrò nel bosco molti alberi dissero "almeno il manico, è dei nostri"...».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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