La ritirata di Nikolajewka di Angelo Viviani: «Una fatica»
«Sono stato salvato grazie al mio cappello»: così Angelo Viviani racconta quei tragici giorni della ritirata. Ferito, affamato, infreddolito. Salvato proprio perchè un conducente lo vede grazie al suo colbacco.
Dieci minuti, registrati nel maggio 2000 da Teletutto, in cui la penna nera legge i suoi appunti. La sua storia in Russia. La Storia d'Italia. Della Seconda Guerra Mondiale.
Con il suo colbacco di lana di pecora Viviani era inconfondibile, spiccava tra le sempre più esigue schiere dei reduci. Mai mancava una commemorazione.
Quel cappello lo aveva ricevuto da una donna russa, ai cui figli aveva donato due paia di scarpe fattesi spedire dal padre, che a Brescia gestiva un negozio di calzature, sotto i portici di via X Giornate. I bambini russi, per paura di perderle, non si toglievano quelle scarpe neanche quando dormivano, mentre lui, Angelo Viviani, classe 1922, arrivato non ancora ventenne sul fronte del Don (col 6° Reggimento alpini, Divisione Tridentina, 112ª compagnia del Battaglione Valchiese), decorava il suo colbacco con il fregio delle truppe alpine e la nappina rossa con la penna nera.
Aveva quasi 99 anni. E dopo una vita lunga è andato avanti.
L'ultimo saluto questo mercoledì alle 10.30. Poi la tumulazione al cimitero di Mompiano.
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