La profezia operosa di Padre Marcolini
L'idea è perfetta, scegliere un personaggio trascinante, un tipo concreto e ispirato, caritatevole e autorevole, combattente e di speranza, umile con gli umili e vigoroso coi potenti, rilanciarlo in mezzo a questa nostra palude di sentimenti e intraprese, in mezzo a questo reclinare della strategia del fare e dello stare insieme. Scegliere un gigante della ricostruzione e collocarlo al centro della nostra piazza umana per dire: guardate che i suoi tempi erano più difficili dei nostri, era la fine della seconda guerra, una città distrutta, fame e macerie. E però, lui non è stato lì a scaregnare e a mangiarsi le unghie in attesa di chi mai non viene, si è aiutato da solo e ha chiamato tutti alle armi della speranza, mani nella palta e mente al cielo.
Un uomo prete e laico, con un ruolo in guerra e in pace, fondatore di case, educatore per esempio e non per bla bla.
Padre Marcolini, 1897-1978, ingegnerino e direttore della futura Asm, vocazione in tempi maturi, la guerra di Russia con lager e ritirata, il ritorno in montagna con le Bim, Bande Irregolari Marcoliniane, istruite al rispetto della natura e alla scoperta della vita di relazione in amicizia e solidarietà, l'interpretazione fisicamente e mentalmente ecologica di quello stare da cittadini di Brescia nelle proprie valli, in ferie e col pensiero.
Alle 18 di giovedì, l'ombra di padre Marcolini, l'ombra del muratore del Signore avanzerà tra i 35 pannelli della mostra fotografica a lui dedicata, al Museo Diocesano, saluterà il direttore Giuseppe Fusari, la presidente di Fondazione Asm, Alberta Marniga, i rappresentanti dell'Ucid (Pia Cittadini e Saverio Gaboardi, qui anche a nome dell'Aib), quell'Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti da lui fondata 65 anni fa, si inchinerà a baciare la nipote Clotilde Castelli, abbraccerà monsignor Fappani, stringerà la mano di Lodovico Camozzi presidente del Museo Diocesano. E andrà incontro al sindaco Paroli, lo guarderà come guardava il sindaco Boni e gli dirà: «Fòmes so le maneghe, ghè gne destra gne sinistra, ghè la poera zent e basta».
L'ombra carissima di padre Ottorino Marcolini riporta alla fondazione di oltre 20mila case, rappresentano la consistenza storica di Brescia nella trentina di quartieri a cui si aggiunge la dilatata e illeggibile inconsistenza nuova del centro storico. Brescia è marcoliniana, extracomunitaria con una truppa spersa di piccola e media borghesia.
Siamo alla terza generazione nelle 20mila case Marcolini di Brescia e dei paesi, ma anche nel Milanese, a Roma, in giro per l'Italia. I nonni hanno spiegato ai figli e i figli ai figli dei figli, che nei primi anni Cinquanta, questo prete ingegnere, nello spazio di almeno 10 ore, tra le 2 ore di preghiere recitate dalle 5 alle 7 e un breviario consumato sulle auto che lo riportavano al suo Oratorio della Pace, addormentato dalla stanchezza e ancora sillabante l'ultimo rosario, sfangava misure e calce al Prealpino e al Sereno, alla Badia e a La Marmora...
Venivano avanti in migliaia dai paesi, venivano avanti verso la città dalle cascine. Marcolini tracciava il perimetro, la Fiat Om con Valletta stabiliva migliaia di assunzioni. Rivedrete Marcolini e Valletta, Marcolini e Boni, Marcolini e il Papa, quel suo amico Giovan Battista Montini che andava a trovare spesso a Milano. Rivedrete Brescia, la città distrutta dalla guerra, ricostruita mattone dopo mattone, oratorio dopo oratorio, Padre Nostro dopo Padre Nostro. Poi ci siamo persi di vista. Oggi ricominciamo a rivederci: al Museo Diocesano, alle 18, perché padre Marcolini è uno puntuale.
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