La Pianura Padana diventerà calda e arida come il Pakistan
Dice che la pianura in cui viviamo diventerà calda e arida come il Pakistan e in automatico scatta la domanda: «Ok, ma da quando?». E ci sentiamo rassicurati quando risponde che sono proiezioni che coprono l’arco di un secolo. C’è ancora tempo, insomma. Ma se glielo si dice Luca Mercalli si infervora: «Non è che fino al dicembre 2117 tutto è normale e poi dal gennaio 2118 ti svegli in Pakistan. È un processo graduale, con conseguenze che si manifestano di anno in anno». Tanto per essere chiari: «Il caldo dell’estate del 2003 ha causato settantamila vittime in Europa e anche il dato del 2015 mostra una sovrammortalità di 15mila persone in più».
Bene, se siete arrivati fin qui avrete capito che questo dialogo con il climatologo Luca Mercalli è tutto tranne che rassicurante. Partendo dal paragone tra la Pianura Padana, dove peraltro abbiamo già i nostri bei problemi con l’aria inquinata, tra le peggiori d’Europa, e il Pakistan, che da una ventina d’anni a questa parte affronta una crisi idrica strutturale, causata anche dai cambiamenti climatici, e in cui la scorsa estate è stata registrata la temperatura record di 53,5 gradi.
«Lo scorso 4 agosto a Forlì si è toccata la temperatura più alta mai rilevata nella Pianura Padana: 43 gradi», spiega Mercalli. In un anno, il 2017, andato in archivio come il secondo più caldo di sempre a livello mondiale. Preceduto, in questo podio bollente, dal 2016 e seguito dal 2015.
«Dal punto di vista delle precipitazioni, il trimestre estivo è stato caratterizzato dalla forte siccità. Ricordiamoci che quella appena passata è la seconda estate più calda mai registrata in Italia». Dopo, appunto, quella del 2003. È una tendenza, insomma, che per i climatologi è impossibile da negare. «Il paragone con il Pakistan viene da uno studio di Paola Mercogliano, una ricercatrice del Cmcc, il Centro euro-mediterraneo per i cambiamenti climatici, in cui si prevede nei prossimi decenni un aumento di 7-8 gradi delle medie trimestrali nel bacino padano», dice Mercalli. Nello stesso studio, si parla di anomalie nelle precipitazioni sintetizzabili in questa maniera: estati secche, con periodi, soprattutto in autunno e in inverno, caratterizzati da piogge che possono causare alluvioni, con relativi problemi dal punto di vista del dissesto idrogeologico.
Però noi siamo stati in montagna, caro Mercalli, e nelle ultime settimane abbiamo messo su Instagram tante foto di cime imbiancate, con neve come non se ne vedeva da tempo. «Certo che ha nevicato, ma soprattutto sopra i duemila metri. Sta per concludersi il terzo gennaio più caldo per le Alpi, con una novità rilevante: se ad alta quota nevicava, più in basso pioveva, un fenomeno tutto sommato in edito. Nei giorni scorsi a mille metri si è arrivati a 18 gradi, ci sono già le primule. Tutto ciò non fa che diminuire le nostre riserve di acqua». Non bastano i teloni sui ghiacciai? «Quelle sono solo trovate di marketing, utili per i comprensori sciistici. Attualmente perdiamo 1,5 metri di ghiaccio all’anno, su bacini profondi alcune decine di metri. Entro la metà del secolo avremo perso la maggior parte delle riserve alpine».
Stiamo andando dritti verso il disastro o c’è qualcosa che si può fare? «Questo processo non si ferma, al massimo si rallenta. E già sarebbe qualcosa. Io non sono pessimista sulle soluzioni, perché una strada c’è: applicare l’accordo di Parigi, diminuendo la produzione di anidride carbonica di origine fossile». E se il trattato sul clima ci sembra una cosa lontana, Mercalli insiste anche sui comportamenti personali: auto elettrica, mezzi pubblici, case bene isolate o in grado di produrre energia con pannelli fotovoltaici e pompe di calore: «Che il clima sia una priorità non è mica una fissazione mia, lo ha detto anche Papa Francesco nell’enciclica Laudato Si’, dedicata all’ambiente. Chissà perché, però, le sue parole hanno avuto meno risonanza che in altri casi». Forse perché c’è chi sostiene che i cambiamenti climatici abbiano anche altre cause. «E secondo lei i climatologi non se lo sono mai chiesto? Tutta la ricerca scientifica è volta a determinare le cause e i risultati hanno escluso le cause naturali e cicliche».
Se non è pessimista sulle soluzioni, su cosa lo è? «Lo sono sull’attenzione delle persone. Purtroppo non c’è ancora una presa di coscienza sui rischi che stiamo correndo. Sa una cosa? Negli incontri che faccio trovo persone sempre più preparate, che leggono, studiano, approfondiscono il tema del clima. Ma sono una nicchia, una piccola parte della società. È un bene che ci siano, però sono ancora pochi. Come facciamo a incidere sul clima, se non riusciamo nemmno a convincere i commercianti a tenere chiuse le porte dei negozi, d’inverno, per risparmiare energia?». L’abbiamo visto in azione, Mercalli. Il modo lineare in cui mette in fila dati e previsioni fa pensare che ci sia qualcosa di sadico. «Non mi diverto affatto, non sono diventato ricco parlando di clima, ma sa perché lo faccio? Ho due nipoti e voglio che tra cinquant’anni sappiano che il loro zio ha fatto tutto quello che poteva per farci vivere una vita meno grama».
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