La Nutella prima del Covid-19
Odio quando riordinano le corsie del supermercato. Non trovo nulla. Io voglio entrare e impostare il cervello su modalità spesa, giro con il mio carrello e mi rilasso. Ma se all’improvviso dove prima c’era la pasta compare l’abbigliamento intimo chiaramente non posso che esserne destabilizzato. Percorsi nuovi possono però regalare inattese riflessioni. Stavo cercando la maionese (precisamente la variante cocktail che gusto ovviamente con i gamberetti, e sempre ovviamente il tutto adagiato su una foglia di lattuga) e mi sono ritrovato faccia a faccia con i Nutella Biscuits. In un attimo la mia mente è andata al mondo pre Covid, mi stavo commovendo. A quelle giornate costellate da appassionate discussioni, financo litigi, tra chi era pro o contro il nuovo biscotto, e i social invasi da io lo adoro, non è niente di che, io ho riempito la dispensa, fino ai più coraggiosi: io odio la Nutella, detto con una punta di snobismo post Nannimorettiano.
Sembrano passati secoli. Di quel tempo è rimasto il cartello massimo cinque confezioni posto su scaffali stracolmi. È ancora lì, tenta di trarci in inganno, ma noi non ci caschiamo più. La bolla speculativa dei Nutella Biscuits è finita, quei frollini sono insignificanti. Finalmente possiamo dirlo. Siamo persone nuove, badiamo alle cose concrete. Bandite le futilità. Basta pagare 50 euro un uovo sodo soltanto perché Carlo Cracco lo ha maneggiato due giorni. Che diamine. Poi sul telefonino ti arriva l’invito per un brunch e ti tocca dare ragione a quella tua amica di 92 anni, abbiamo vissuto una quarantena, mica un miracolo.
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