«La mia corsa ad ostacoli fra tamponi e mancate risposte»

La testimonianza di un’universitaria bresciana che vive nella capitale, risultata positiva al coronavirus
In isolamento davanti al computer (immagine generica) - © www.giornaledibrescia.it
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Duemilaventi Odissea nello spazio. Romano. Tredici giorni in attesa di risposte che ancora non arrivano. È la corsa ad ostacoli, tra burocrazia, ritardi e vuoti normativi, di una studentessa bresciana iscritta al primo anno di università a Roma. E che ha contratto il Covid. La chiamiamo Marta. «Ho avvertito i primi sintomi l’11 ottobre e due giorni prima anche il mio coinquilino era stato male» racconta la giovane chiusa nel suo appartamento capitolino in costante contatto con la famiglia che vive in città. «Lui aveva avuto fino a 40 di febbre, pensava ad un colpo di freddo o una banale influenza, ma dopo giorni di dolori decide di chiamare l’ambulanza. Gli operatori, solo con la mascherina chirurgica e senza particolari altre protezioni, spiegano che non serve effettuare il tampone. Non ci dicono neppure di restare isolati "perché non è un potenziale paziente affetto da Covid", raccontano».

È il primo segnale di un sistema che non funziona nella capitale. «Quando comincio ad avvertire anche io i sintomi - spiega Marta - al mio coinquilino arrivano messaggi di persone che tre sere prima avevano cenato con noi e che affermano di sentirsi male: inizia il panico». Sono i primi giorni in cui Roma viene travolta dalla seconda ondata del coronavirus. «Per accedere ad un drive-in, dopo veramente più di cinque ore di fila, bisogna avere una ricetta de-materializzata con un codice preciso di esenzione della Regione Lazio, ma le ricette prescritte dai nostri medici di base fuori regione non sono considerate valide».

Il servizio sanitario all’ombra del Colosseo non accetta prescrizioni firmate da medici lombardi. «Per non essere la 251ª auto in coda al drive-in di Roma 1, il 13 ottobre io e il mio coinquilino noleggiamo un’auto e andiamo in autonomia all’Asl Roma 4. Due dottoresse fantastiche vedendoci in difficoltà, nonostante le nostre ricette siano sbagliate, ci danno la possibilità di fare il tampone rapido. Dopo 30 minuti otteniamo il risultato: entrambi positivi. Torniamo a casa e ci isoliamo». In casi come questi la pratica dovrebbe passare direttamente all’Asl, che dovrebbe prendere in carico il paziente Covid. Dovrebbe appunto. «Iniziamo a fare la spesa online e a limitare i momenti negli spazi comuni come salotto e cucina. Passano dieci giorni e l’Asl non chiama. Nemmeno il giorno precedente alla data fissata per fare il tampone di controllo.

Chiamiamo così tutti i numeri che troviamo: nessuno risponde o se risponde, come in un caso, dall’altra parte del telefono ci viene detto: "Ma io vendo alimentari, non so come mai il mio numero sia lì"». Scene assurde, ma purtroppo vere. Marta e il collega universitario coinquilino in un appartamento a Roma si sentono abbandonati. «All’ennesima mail risponde finalmente l’Asl e ci comunica una notizia sconvolgente: "Non abbiamo neanche i vostri dati nel database". Contact tracing, osservazione e controllo dell’evoluzione dei sintomi, assistenza telefonica: niente di tutto ciò». Per le autorità sanitarie romane questi due ragazzi avrebbero potuto tranquillamente circolare e infettare altre persone, e nessuno se ne sarebbe accorto.

Ma il racconto-verità non finisce qui. «Riusciamo finalmente ad ottenere una convocazione per il 24 ottobre in un ospedale di Roma 1 tra le ore 8 e le ore 10. Ci presentiamo ma non crediamo ai nostri occhi: ci sono tantissime persone in attesa del tampone sotto tendoni in mezzo al fango, positivi in mezzo a negativi e signori ultra novantenni in attesa da più di quattro ore in piedi. Gente a piedi in mezzo al drive-in dove non si procede secondo l’ordine di auto, ma in virtù di codici numerici. È tutto un caos» sentenzia Marta. Che ora sta ancora attendendo di sapere il risultato dell’ultimo tampone effettuato per capire se può mettersi tutto definitivamente alle spalle. «E se il tampone dovesse essere ancora positivo - è il timore della ragazza - chissà quando suonerà il telefono».

 

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