La gallina felice

Il concetto di felicità ha risvolti personali: è difficile darne una definizione univoca
AA

Un mio grande sogno è avere un pollaio. Ho anche già individuato una zona del mio orto dove crearlo, mia nonna contesta che poi toccherebbe a lei raccogliere le schittate, ma sono accuse senza fondamento. Già mi immagino la sveglia al canto del gallo e poi a bermi tutto d’un sorso un ovetto crudo depositato da una delle mie (future) amate galline. Di certo la nostra sarebbe una convivenza serena. 
Questo è importante.

Una mia amica è andata dal dietologo, prima di lasciarla le ha dato un consiglio per la sua salute: mi raccomando, quando compra le uova verifichi che siano di galline felici. Mica è facile. Qual è il parametro di felicità delle ovaiole? Starsene libere a scorazzare beccando qua e là è sufficiente? O per allietare le loro giornate serve pure un massaggio? Magari una coccola prima di andare a letto? Anche perché il concetto di felicità ha risvolti così personali che difficilmente si presta a una definizione univoca. 

Da adolescente mi ero fidanzato con una splendida ragazza. Ero innamoratissimo e felicissimo. Mi svegliavo e pensavo a lei, dormivo e pensavo a lei. Correvo felice in giardino anche quando pioveva: per me c’era sempre il sole. Su ogni pianta incidevo le nostre iniziali. Poi un pomeriggio ci incontriamo al parco delle Montagnette. Ti lascio, mi dice, perché meriti di essere felice. Ma io, le rispondo, sono felice. No: a te sembra di essere felice. Sono rimasto senza parole e con in mano il ciccone a forma di cuore che le volevo dare. Quel giorno ho scoperto che si può essere infelicemente felici. 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Condividi l'articolo

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato