La denuncia del pm: «Lotta alla mafia, la politica è disattenta»

Il sostituto procuratore Paolo Savio, ospite a «Messi a fuoco» su Teletutto, denuncia la disattenzione verso la criminalità organizzata
Messi a fuoco
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«Purtroppo tante volte, quasi sempre, ci sentiamo soli, molto soli. Avvertiamo la disattenzione di una parte della società civile e della politica, che continuiamo a registrare». Ospite di Andrea Cittadini, nella trasmissione «Messi a fuoco» andata in onda venerdì sera su Teletutto, visibile integralmente in questo articolo, Paolo Savio, sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Brescia, ha pronunciato queste parole con un accenno di amarezza, rivolte non direttamente ai due esponenti di partito presenti in trasmissione, Simona Bordonali, deputata della Lega, e Gianantonio Girelli, consigliere regionale del Partito democratico, ma all’intera classe politica lombarda. La solitudine di chi quotidianamente si batte sul campo contro la criminalità organizzata, la cui presenza sul nostro territorio è ormai accertata da diverse inchieste, emerge in particolare da un aspetto: l’assenza della politica nelle aule di tribunale. E Savio lo dice con chiarezza: «La politica, se c’è, come credo, deve fare una scelta di campo molto netta, stare vicino a questi processi, sostenendoli e costituendosi parte civile. È questo che lamentiamo».

Il maxiprocesso cui fa riferimento il magistrato della Dda bresciana, nello specifico, è quello denominato «Leonessa», duecento imputati e tre tronconi, con reati che vanno dal 416bis, associazione di stampo mafioso, alla corruzione nella Pubblica amministrazione fino ai reati fiscali connessi intorno alla struttura mafiosa. Un processo complesso che svela una realtà molto articolata ed estremamente preoccupante i cui effetti non sono solo di natura economica, come erroneamente si è portati a credere. «C’è un profondo condizionamento della vita sociale e anche politica – insiste Savio – da parte di chi al potere economico associa un forte potere militare. Contestiamo associazioni armate e quindi disponibilità di armi che non gestiscono solo gruppi di albanesi del narcotraffico. Ma questo aspetto sembra non passare».

Per spiegarsi meglio Savio utilizza la metafora del «kalashnikov sostituito dall’F24», arma che è lì pronta per essere adoperata. «A Brescia abbiamo una mafia militare diventata mafia economica ma senza rinunciare al suo Dna, di essere cioè una struttura militare. La criminalità organizzata – conclude Savio – non è solo da colletto bianco». Parole pesanti come macigni che Gianni Girelli non contesta, anzi: «La politica è sempre in grandissimo ritardo su questi temi – afferma –. E mi sembra di registrare che rispetto a qualche anno fa si sia fermato quel processo di assunzione di consapevolezza che aveva caratterizzato alcune stagioni». Secondo Girelli, già presidente della Commissione antimafia di Regione Lombardia, «si ha l’impressione che la mafia sia affare di procure e Forze dell’ordine. Ma non è così. A loro tocca fare le indagini e i processi, che fanno benissimo, quello che manca è la capacità di fare prevenzione».

Meno «pessimista» di Girelli si definisce Bordonali che ammette, al contrario, che «seppur qualche volta in ritardo, la politica ha fatto la sua parte in questi anni. La Commissione antimafia in Regione ne è una prova, così come la legge 17 del 2015 che ha istituito un fondo per la gestione dei beni confiscati alla criminalità». Ma se l’apparato normativo è lodato dallo stesso Savio («non mi posso lamentare di nulla da questo punto di vista»), rimane la solitudine di magistrati e Forze dell’ordine nella lotta alla criminalità: lodati al momento degli arresti, soli nei processi e durante le attività investigative.

 

 

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