«La Brescia presente ad Expo è addirittura meglio dell'Expo»

L'intervista al responsabile artistico Paolo Dalla Sega che traccia un primo bilancio sulle giornate di Brescia a Expo
AA

Nel mezzo del cammin delle giornate bresciane ad Expo, incontriamo il responsabile artistico Paolo Dalla Sega per un primo difficile bilancio «di una grande semina che non produrrà frutti da raccogliere a breve». O, almeno, non frutti pesabili, quantificabili, misurabili. «La grande semina richiede continuità e condivisione di obiettivi», dichiara Dalla Sega, facendo riferimento a «Together», il nome delle sei giornate di Brescia ad Expo.
Che cos’è Expo?
Expo è innanzitutto fatica. Ad arrivarci, a visitarlo, a catturare l’attenzione. Sì, perché nessuno è protagonista, se si esclude l’Albero della Vita che lo diventa, non a caso la sera quando si spengono le altre luci e lui si accende. Lo diventa, come lo diventerebbe un lampione: si illumina, attrae, è colorato. Expo non ha protagonisti, non ne ha e non ne vuole avere. Non c’è confronto tra le nazioni presenti nei padiglioni, la Carta di Milano è già scritta ed è pure faticoso firmarla. Expo è una grande festa ed ogni nazione cerca di mettere in mostra il meglio di sè, in una dimensione più patriottica che internazionale. 
Non a caso, per un turista giapponese è esotico farsi un selfie con un nostro alpino. Cos’è, dunque? Tra un forum mondiale e una grande piazza sulla quale affacciano decine e decine di nazioni, una contro l’altra seppur in una rivalità pacifica, ebbene, io credo che la definizione esatta sia la seconda. La mondialità è interessante, presente, ma ognuna deve autorappresentarsi in modo competitivo. Preso atto di questo, faccio fatica a percepire il progetto comunicativo dell’Italia: la sua rappresentazione non è tra quelle meglio riuscite.
Dunque, lei sostiene che la comunicazione complessiva dell’Italia non è delle più riuscite. E quella di Brescia? Costi elevati, poca partecipazione, scarsa ricaduta sul turismo locale. Critiche puntuali, a fronte di un investimento bresciano superiore a quello di altre province. Che ne pensa?
Un risultato è già stato raggiunto, anche se credo che è ancora prematuro fare bilanci: Expo è servita a far capire ai bresciani chi sono, cosa possono essere e come possono cambiare la percezione di loro stessi se fanno le cose insieme, dentro e fuori Expo. Questo è l’aspetto prevalente: prima degli altri, devi dire a te stesso chi sei e che non sei da solo. Ecco perché «together», insieme. Non abbiamo dato questo nome per romanticismo, ma perché crediamo in un progetto di rete, di condivisione, di comunicazione tra le differenti geografie presenti nel Bresciano. Expo questo l’ha fatto: ci ha reso consapevoli che vale la pena fare gruppo e da qui si può partire per comunicare con l’esterno.
Dalla consapevolezza di quello che si è alla capacità di trasmetterla ai visitatori di Expo, tuttavia, c’è ancora una certa distanza. O no?
Per colpire il visitatore di Expo devi emozionarlo e sconvolgerlo. Non sui contenuti, ma sulle forme, misurandoti con le difficoltà del luogo. Un esempio: i bambini della banda alla prima giornata bresciana hanno avuto difficoltà ad entrare con i loro strumenti; la Ferrari o le barche del lago, invece, no. Nemmeno gli alpini, o l’archeologia in mezzo alla strada. Insomma, non devi farti scegliere, ma incontrare. Chi va ad Expo non può essere convocato. Bisogna fare la voce grossa, con i contenuti. Esempi? Il convegno sulla sicurezza alimentare è stato da manuale, quello sul volontariato ha raccontato la mondialità di Brescia rimanendo nel tema dell’Expo, l’impegno degli atenei bresciani in progetti di cooperazione e sviluppo è stato di alto livello. L’obiettivo è semplice: farci conoscere. Sì, gli occhi sono puntati sull’albero della vita, ma siamo alla cantieristica. C’è molto di più e, dopo che se ne sono resi conto i bresciani di avere l’opportunità di mettere insieme Vittoriale e molto altro, lo devono capire gli italiani. Avere più turisti? Non è l’unico scopo di Expo e, comunque, su questo la ricaduta sarà a lungo termine. Expo si fa per valorizzare un sistema ed un Paese e posizionarlo meglio in un panorama nazionale ed internazionale. Il progetto di Brescia deve avere orizzonti che vanno ben al di là di Expo, perché Brescia all’Expo è anche meglio dello stesso Expo. Deve urlare, certo, ma lo sta facendo su cose credibili, trasmesse con simboli potenti.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Condividi l'articolo

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato