Italia Viva e l'addio dei sindaci

La scelta di Matteo Renzi e le differenze rispetto alla sua ascesa ai tempi in cui era il rottamatore
Matteo Renzi, fondatore di Italia Viva - © www.giornaledibrescia.it
Matteo Renzi, fondatore di Italia Viva - © www.giornaledibrescia.it
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L’uomo «nuovo», il rottamatore, non c’è più. Ha fatto la sua uscita di scena nel 2012, quando dopo le primarie con Bersani ha scelto la strada della scalata interna al partito, con quel cursus honorum che lo ha portato a sedersi sullo scranno della presidenza del Consiglio. Quel Matteo Renzi, quello che aveva intercettato lo spirito dei tempi, al punto da fare scavalcare la soglia del 40% al Pd, è cresciuto. Nel bene e nel male.

La cartina tornasole è la fondazione di Italia Viva, una mossa nella quale si rilegge una esemplare abilità politica: che tra i Dem il suo stile non fosse più acclamato è cosa nota. E allora per chi, come lui, a palazzo c’è già, quella di un nuovo contenitore è l’unica mossa possibile, la mossa - anche - della sopravvivenza di fronte a una «casa madre» che ha cambiato profondamente pelle e che rischia, alla prossima chiamata alle urne, di chiudere lui (e il suo bacino elettorale) fuori dalla porta. Iv corre però il rischio di restare un’abile operazione nazionale se non trova la chiave per una svolta (in ballo c’è l’eredità del Berlusconi moderato). La ragione è semplice: il successo originario di Renzi stava nell’aver creato un movimento di amministratori locali.

Ora i sindaci sono rimasti al loro posto, convinti che a breve tocchi a loro. Ma all’interno della casa madre. Del resto, a insegnarglielo, è stato proprio Renzi. Quello del 2015. Quello di «#staisereno».

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